e annotta sempre più dopo.
spiumata sotto il piumone resto
a lungo, troppo a lungo.
respiro piano, cortamente:
gli occhi come morti,
la testa un criceto
in centrifuga impazzito.
io devo solo stare
nel qui e nell'ora,
in paroline corte
senza memoria.
ha una straordinaria capacità di rigenerarsi, proprio come sua cugina, quella con la L.
c’è un guscio di noce, piccolo.
io sono dentro questo guscio piccolo di noce piccola.
sono me con orecchie di coniglio lunghe, no anzi, di lepre.
dietro la schiena tutto pelo morbido di coniglia marroncina.
davanti è tutto normale, solo le zampe sono un po’ zampe e un po’ braccia e un po’ gambe.
ho tra le labbra un guscio di uovo azzurrino, come un confetto, solo un poco più grande. la mia faccia è normale, a parte le orecchie.
succhio da questo guscio ma non so cosa c’è dentro.
poi una mano -la mia mano di me normale- mi accarezza da in cima alla testa, tra le orecchie, fino al codino che è un po’ bianco sotto e mi viene un brivido lungo tutta la schiena. poi lo fa ancora. la seconda volta arriva al codino e infila un dito dentro, tra le mie gambe di mezza coniglia e mezza donna. lo fa piano e mi piace.
intorno è buio ma con la coda dell’occhio vedo una lampada da salotto, una specie di abat-jour.
poi la me grande e umana prende la noce in bocca e coi denti ci fa pressione nel mezzo e la noce si apre come un orologio da taschino: dentro c’è come una casa in miniatura, con pure l’abat-jour che avevo visto prima, e io sono sdraiata su un divano di velluto verde.
poi la me grande passa la lingua nel guscio e succhia via tutto come da dentro una cozza e io mi vedo affondare di schiena e sopra di me vedo solo stormi di uccelli o forse sono banchi di pesci, non lo so più.
fa tutto bianco di sole che acceca, fa tutto male agli occhi e non vedo più niente.