martedì 9 agosto 2011

di luce lucia (seconda parte)

sono le otto e ventidue, fuori dal bar c’è afa e sole e asfalto che squaglia.
c’è giovanni con l’odore di axe mischiato a quello di sacher e di sudore adolescenziale.
ma soprattutto fuori c’è la moto di barletta.
se fuori c’è la moto di barletta significa che dentro c’è barletta e questo è un problema.
barletta non assomiglia a al pacino, barletta è al pacino. barletta è così figo che non deve chiedere a nessuno di fargli un pompino, barletta i pompini se li fa direttamente da solo e quando non se li fa è per non darsi la soddisfazione: così, a sfregio.

giovanni si siede sul marciapiede davanti a i delfini, le gambe piegate, allargate, la testa nel mezzo.
non può entrare a dire a lucia che è un leone di luce, no. passino la puzza di merda e quella di sudore e i cerotti a nascondere le croste dei brufoli schiacciati, ma l’umiliazione di scoprirsi micione davanti a barletta no.
sente il mal di testa arrivare, due ferri da calza infilzati dietro i bulbi oculari.
quando gli viene il mal di testa gli occhi gli scompaiono dietro gli occhiali. uno si sposta verso l’interno trasformando il suo strabismo di venere in uno strabismo assoluto, senza aggettivi riparatori.
a posto, ora siamo a posto, pensa. mavaffanculo, và.
e si ficca il pollice in bocca mentre con la mano libera, la sinistra, si regge la destra, come in preghiera.

pensa
non doveva andare così, no.
lui doveva entrare tutto splendido più di al pacino e dire a lucia che era un sole e lei doveva innamorarsi di lui e offrigli sul frigo dei gelati il suo culo spacchettato.
non doveva esserci barletta con la moto, con l’aifon e tutti quei cazzo di soldi che fa con le assicurazioni.

pensa
non è colpa mia se mi hanno messo a chiudere le buste e a infilare le penne nelle scatole.
trenta penne in ogni scatola, cinque su un lato e sei su un altro e i tappi tutti nella stessa direzione. non è questo un buon motivo per chiamarmi handicappato.
handicappato.
stupido è chi lo stupido fa, diceva bene forrest gump.
io non faccio né l’handicappato né lo stupido.
vaffanculo.

poi si sente il dlin dlin della porta de i delfini, qualcuno che entra o qualcuno che esce. è qualcuno che esce: è barletta, con il casco sotto il braccio e i ray ban originali a tirare indietro i capelli caramellati.
dio che figo che è barletta, perché non sono come barletta?
barletta si abbassa gli occhiali e si gira lento verso di lui, come in un film.
sorride e gli fa quel saluto che gli fanno di solito gli adulti, che sembra sempre un po’ che salutino un bambino.
ma barletta non è un adulto, è un ragazzo poco più grande di lui, e questa cosa del saluto gli dà fastidio, quanto sentirsi chiamare handicappato.
giovanni risponde senza alzare la testa e senza togliersi il dito di bocca, gli occhi mezzi chiusi dal mal di testa e dal sudore che gli incolla le palpebre.
passa un’ ape piaggio ronzando, copre tutti i rumori, anche quello della porta che fa di nuovo dlin dlin.
giovanni non si accorge che lucia è uscita dietro a barletta e che lo sta guardando succhiarsi il pollice.
passa qualche secondo, il rumore dell'ape si scioglie piano piano nel catrame e si fa di nuovo silenzio.
giovanni alza la testa, sente rumore di lingue che si succhiano e profumo di caffè e vaniglia.
è lucia che si bacia barletta. 
pensa giovanni
no, non è così che doveva andare.

barletta si infila il casco, sale sulla moto e parte smitragliando. anche il rumore della moto di barletta è figo, anche l’odore di gas.
lucia rimane fuori da i delfini, inclina la testa verso giovanni.
dice lucia
che sei venuto a fare qui a quest’ora, con questo caldo?
giovanni si sfila il pollice di bocca, perde un filo lungo di bava che atterra sui jeans. si asciuga la bocca con la manica della camicia, veloce.
sono passato solo per vedere se c’eri.
e che vuol dire?
niente. adesso vado al lavoro.
a quello dove ti fanno mettere le penne nelle scatole?
sì, quello.
ma perché fai quel lavoro? è un lavoro da handicappati.
eh.
“eh” cosa?
è un lavoro da handicappati.
lucia si morde un’unghia, la soffia a terra, fa spallucce e rientra.

ciao lucia,
volevo dirti che sei bella
e che se tu ti fossi innamorata di me
ti avrei sposata al fresco
nel frigo dei gelati
e avremmo fatto dei bambini
tre o forse anche quattro
dei bambini normali e non handicappati
dei bambini come te
luminosi
dei leoni piccoli di luce
e tu saresti stata una mamma splendida per loro
non da farli vergognare come la mia.
e ti volevo anche dire 
che hai un profumo buonissimo
e un culo che mette felicità a guardarlo,
come la pasta al forno
e i ciliegi a primavera.
ciao lucia,
adesso vado a lavorare.

2 commenti:

  1. vabbè ma che fine triste. Dovresti fa quei racconti dove uno in base alle decisioni che prende raggiunge finali diversi. Io vorrei un finale dove l'handicappato si scopa Lucia e mette il video su youtube, si può?
    :D

    Forrest Gump mi piegava quando chiamava il tenente Dan..
    tenente Daaaan

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  2. il finale con giovanni che si scopa lucia e mette tutto su youtube è scaricabile su hotsaramandra.com a 2.50 euri :D

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