mercoledì 30 giugno 2010

spiumata

fuori ingiorna sempre più prima
e annotta sempre più dopo.
spiumata sotto il piumone resto
a lungo, troppo a lungo.
respiro piano, cortamente:
gli occhi come morti,
la testa un criceto
in centrifuga impazzito.

io devo solo stare
nel qui e nell'ora,
in paroline corte
senza memoria.

sei una figurina lontana

sei una figurina lontana
disegnata piano,
sei di tratto spezzato ma chiaro.
ogni tanto lanci un urlo, un insulto.
fai introspezioni e rifletti,
mi rifletti.
io, muta, mi faccio pietra
occhio sbigottito
parola sbriciolata tra le mani
becchime di pensiero instupidito.

venerdì 25 giugno 2010

acquauqca

io ho paura del mare. quella di morire annegata è una delle mie paure più grandi. non nuoto bene, perciò l'acqua alta, anche in piscina, mi spaventa. io rimango sempre nel "dove si tocca".
però nell'oltre, in quel là dove non si tocca, là dove tutto si fa sprofondo e urlo soffocato, io mi ci tuffo ossessivamente. mi ci tuffo nei miei pensieri di immaginazione, di continuo; io devo andare lì sotto, io devo provare quello svenimento, quel dolce morire che solo lì sotto.

sono di acqua che all'acqua ritorna.
là sotto, nel nero profondissimo e solido, io m'impiombo e
apro la bocca e
tutte le parole si fanno
nell'acqua
le mie parole germogliano
come ninfee
come alghe
ma più resistenti.
io nell'acqua m'immenso
e di luce mi glorifico
enorme batrace
microscopico gamberetto
nell'acqua m'immergo
m'annego
mi svengo
e come minuscole uova di pesce
le mie parole
s'involgono
s'incatenano
mi vincono
mi salvano.

mercoledì 23 giugno 2010

magia di rondini e conigli

c'è una bambina bionda dal vestitino corto e intorno quattro conigli grossi in piedi sulle zampe posteriori, molto composti.
io vedo la bambina di spalle.
sullo sfondo solo buio, poi come un dipinto, un paesaggio rinascimentale.
ad un certo punto la bambina sembra infuriarsi, si scompone tutta, si dimena e i suoi capelli sembrano una medusa di serpenti. urla ma io non sento niente e poi scalcia e gira pugni nell'aria poi si divide in tanti pezzi, braccia, gambe, testa, busto, mani...e si apre un grosso buco sotto di lei che la risucchia insieme ai conigli che non si scompongono. affondano tutti in un nero che sembra lo spazio, ma no, è il mare. tutti si sono trasformati in delle specie di birilli. arriva una balena disegnata che apre la bocca e tutti li inghiotte. dentro si sente tutto stretto e bagnato. i conigli si fondono insieme e diventano un unico gigantesco coniglio e la bambina si ricompone e gli salta in groppa. il coniglio vuole uscire, si scioglie ed esce dalle fessure tra i denti della balena e diventa una specie di coniglio-pesce. adesso vedo solo il suo occhio, tutto nero, nero di animale, nero che brilla, nero che sembra avere dentro una pepita d'oro. poi nel nero dell'occhio vedo un piccolo di rondine, l'occhio di un rondinino. il rondinino cade e sembra morto per terra. arriva una rondine femmina che gli dà qualcosa col becco, gli strappa il petto e lo imbocca, poi si strappa il petto e lo imbocca, poi sembrano morti entrambi ma no, la rondine inghiotte il rondinino e si fa rondine nuova, uccello di pece tutto che brilla che sale verso l'alto. è la luce dell'uccello nato nuovo, è una coda che luccica, tipo stella cometa ma diverso, va tutto verso l'alto, poi nel mare di nuovo si scioglie. io sono nel mare, è notte, tutto è nero, l'acqua diventa un po' d'argento, io bevo l'acqua, l'acqua mi entra negli occhi e nelle orecchie, io sono di buio e di abisso ma di luce infinita pure.

martedì 22 giugno 2010

fragile

sto nel vento chiocciolina,
guscio di latte e carta velina.

ranocchie

io, se mi metto la maglietta verde di kermit la rana, inevitabilmente sorrido. magari anche solo di dentro, ma sorrido. oggi sono di maglietta ranocchiosa e verdolina, oggi sono di sorriso piccolo nascosto.

lunedì 21 giugno 2010

animali, dove siete finiti?

animali, dove siete finiti?
sento tutto un freddo intorno e occhi di cani neri e di uccellicane che mi guardano e respirano e tacciono.
animali, perché non parlate?
tutto il mare si fa di buio e silenzio e io aspetto un movimento, un guizzo piccino, una lucina di pesce lanterna.
animali, dove siete finiti?
vi sento muti e di corpo freddo e questo vostro stare mi lacera il respiro e le carni.

tornate, animali, vi prego. tornate.
ho bisogno di voi.

la ruspa

io tutti i giorni devo scrivere qualcosa, è così che mi ha suggerito quella persona che chiama magie quello che vedo prima di addormentarmi.
tutti i giorni devo scrivere qualcosa, come una disciplina.
dice che ci vuole la ruspa, che tu fai fai e poi la mano si sfina, si fa più morbida e le paroline escono più facilmente dalle dita.
è vero, è proprio così, l'ho sperimentato.
fa niente se quello che esce ti sembra brutto, se è brutto. tu vai di ruspa, tutti i giorni, e vedrai che migliori.
e io, che mi fido di quella persona, ci provo e scrivo, scrivo ogni giorno.
poi però magari mi capita che quello che scrivo non è come vorrei e allora lo lascio lì a riposare. quello che ho scritto oggi, ad esempio, non ha il finale giusto, con le paroline inanellate come dico io, a far la musica che piace a me.
e quindi? quindi l'ho lasciato da parte tra le bozze, in attesa del finale che gli spetta.
ora ho un raccontino lì come su un letto in un corridoio di ospedale. è una brutta situazione. ce ne sono un sacco di raccontini così, ideuzze abbandonate al largo o sul ciglio della strada. sono raccontini tristi che ti guardano come cani nel canile, aspettano di essere scelti, aspettano il finale meritato.
a volte non li riguardo nemmeno più, che mi dà pena metterci le mani sopra per poi magari mollarli nuovamente lì.
insomma, questa tiritera un po' noiosa era solo per spiegarvi che qualche volta la ruspa si inceppa e la giornata finisce così, senza storie da raccontare, e a me questa cosa, di andare a letto senza parole raccontate, mi dispiace sempre un po'.

sabato 19 giugno 2010

della resa

una volta mi sono arresa all'amore e ho capito come sarebbe potuta essere la mia vita se.
poi invece non.
quando ti arrendi all'amore e vedi come sarebbe potuta essere la tua vita se e poi invece non, è come...è come quando...sì, tipo quella cosa lì che hai pensato.
solo mille volte peggio.

venerdì 18 giugno 2010

cose di sbagli

mio padre, quando ero piccola, lavorava come impiegato in banca.
un anno, sotto natale, mi porta là dove lavora. ricordo un atrio molto illuminato con il pavimento lustro. ci sono tanti genitori e tanti bambini e c'è pure un tavolo, un banco lunghissimo pieno di giocattoli. la mia memoria mi restituisce l'immagine sicuramente distorta di una montagna di giocattoli alta fino al soffitto. i bambini sono stati invitati per scegliere un regalo e a me non sembra vero. non ricordo dei giocattoli in particolare, ricordo solo quello che avevo scelto: il camper di barbie. con il camper avrei potuto far andare barbie in vacanza tutto il tempo, avrebbe potuto seguire un circo con gli acrobati e girare il mondo. mi sono sempre piaciuti gli acrobati. indico il camper a mio padre e lui sorride e mi dice che quello purtroppo non posso averlo, che ho capito male, che non è che posso scegliere proprio tra tutti i giocattoli, no, devo solo guardare quelli nella prima parte del bancone. probabilmente, realizzai più in là negli anni, i genitori avevano pagato una quota destinata al regalo dei figli e la banca aveva diviso i giocattoli in base al loro valore economico, non ne ho idea.
io so solo che mio padre mi dice che non posso avere quel regalo dopo che tra tutti i doni l'ho eletto come il preferito, come quello che fa per me, quello che vorrei più di tutti. devo rinunciarvi, devo desiderare qualcos'altro. e questo qualcos'altro lo devo desiderare dentro dei confini ben precisi, non è che posso desiderare quello che mi pare. ma come si fa a cambiare i propri desideri così, solo perché ti dicono che devi farlo? puoi scegliere qualcosa di diverso, ma non desiderarlo realmente, penso. fatto sta che io scelgo qualcos'altro, in mezzo a quell'abbondanza, ma un po' mi viene da piangere, non mi sembra giusto. ripiego su una bambola dal vestito rosso in una scatola grande. almeno ho la soddisfazione di un pacco grande. da piccola i regali nei pacchi grandi mi sono sempre piaciuti. una volta a casa però la bambola si rivela una delusione: sorrideva ed era grande ma non poteva girare il mondo e unirsi al circo coi leoni e gli equilibristi, quella bambola non andava da nessuna parte. io facevo finta che mi piacesse, era così grande che non poteva non piacermi, mi sforzavo di farmela piacere, ma no, quella bambola non avrebbe potuto mai essere come il camper di barbie, poteva solo sorridere e stare ferma.

ecco, a volte succede così.
nella vita da grandi, intendo.
nelle cose d'amore.
che ti dicono che hai vinto alla lotteria e tu esulti e non ci credi e però sembra proprio così e poi invece no, no, ci siamo sbagliati, ci dispiace, però c'è il premio di consolazione, però abbiamo una bella bambola col vestito rosso in una scatola grande.

premio di consolazione un cazzo. scatola grande 'sto par de palle.
io indietro non ci torno.
a me, se mi ricapita, la prossima volta, piuttosto che scegliere la bambola che ride nella scatola grande, dietro il circo degli acrobati ci vado a piedi. scalza. con la barbie sotto braccio, ovvio.
che a me, coi premi di consolazione e coi ci spiace, mi avete davvero scassato la minchia.

cose di raccontare

a volte aspetto tutto il giorno che mi venga in mente la cosa giusta da scrivere.
penso e ripenso e arrivo a sera che ho solo un disordine di paroline in giro sparpagliate che non si fanno prendere e sguillano via, sguizzano come serpenti sotto le assi del pavimento, tra le crepe del muro, scappano e si nascondono nei cassetti, sotto le unghie.
io le guardo fuggire e mi viene rabbia e tristezza e sento tutta la stanchezza e penso che vorrei solo essere accarezzata di parole (e disegnini, anche).
a me non piace quando la serata finisce così, io vorrei sempre avere una storia da raccontare (ma anche da farmi raccontare), e invece no, a volte finisce che pianto la testa sul tavolo e mi addormento così, senza carezze, né di mano, né di voce, né di pennarello nero a punta fine.
serate così sono serate davvero da mettere il muso, serate che piuttosto è meglio guardare il curling alla tele e addormentarsi sul divano.
purtroppamente però, non ci ho né la tele né il divano, purtroppamente.

mercoledì 16 giugno 2010

"ci ho il cervello slogato"

la mia amica del caffè ieri mi ha detto che ci aveva il cervello slogato.
ho pensato che deve essere terribile slogarsi il cervello, che mica puoi metterci la crema all'arnica o il lasonil. e poi non lo puoi neanche fasciare come si deve, un cervello slogato, che ti si inzuppa la garza e ti vanno tutti i liquidi in giro e ti scendono magari giù per il naso e non è certo un bel vedere.
poi però ho anche pensato che ha un suo fascino dire "mi si è slogato il cervello", un po' come quando alle medie ti spaccavi qualcosa e ti mettevano il gesso e tutti te lo firmavano.
io ho sempre fatto di tutto per spaccarmi qualcosa ma ero così moscia che sono riuscita solo a lussarmi una rotula da ferma. però il gesso me l'hanno messo lo stesso e tutti me l'hanno firmato e stefano v., che mi piaceva assai, mi aiutava pure portandomi lo zaino.
chissà se la mia amica ha qualcuno che l'aiuta, con quel cervello slogato, a portare i pensieri pesanti o a fare i conti più difficili. speriamo.

dove vanno a finire gli amori inesplosi

io ci ho un'amica che lavora con i numeri e non ho capito bene cosa fa perché tutto quello che è numero per me sa un po' di magico e anche di pericoloso perché totalmente sconosciuto.
questa mia amica fa il suo lavoro di numeri in un ufficio.
ogni mattina, da ormai un anno, cerchiamo di berci un caffè insieme. cioè, ci colleghiamo a una chat, le dico che metto su la moka e, quando il caffè sta per salire, io l'avviso e lei si fionda alle macchinette a farsene uno. poi brindiamo e facciamo colazione insieme che spesso lei ha delle pizzette o un po' di torta e io invece mai niente. spesso lei mette su una canzone di atmosfera, a me piace quando mi linka "cosa hai messo nel caffè" cantata da lisa ono.
poi chiacchieriamo come se fossimo al bar e spesso facciamo dei discorsi proprio impegnati, filosofici. oggi era un giorno da caffè filosofico.

la mia amica mi chiedeva dove andassero a finire gli amori lasciati così, quelli senza un seguito, senza esplosioni. ci chiedevamo se ci fosse un cassonetto differenziato, o una specie di cimitero degli elefanti degli amori inesplosi o se semplicemente si appoggiassero sul fondo del mare. mi domandavo se parlassero tra loro o se non avessero più niente da dire e se qualche desiderio fosse rimasto nel loro guscio di amori sgusciati.
ce li immaginavamo tutti lì, sul fondo, carichi come dinamite che aspettano di essere trovati.
carichi ma disarmati. disarmati e disamati. disseccati, rinvigoriti e poi ancora rinsecchiti. con occhi grandi e sbigottiti che arrivati lì potevano finalmente chiudersi e riposare.
amori inesplosi che stanno e aspettano ma non vorrebbero più aspettare.
devono esserne pieni gli oceani, di questi amori senza seguito, cascati sul fondo come coriandoli in una pozzanghera, come briciole scotolate via dalla tovaglia.

abbiamo filosofeggiato così tanto e così approfonditamente che alla fine ci siamo dimenticate di bere il caffè.


martedì 15 giugno 2010

mi sono svegliata con un rumore di qualcosa di grosso e pesante che cadeva nell'acqua. qualcosa di grosso e pesante come un leone. il rumore ha continuato per un po': splash-silenzio-silenzio-splash di nuovo. ho pensato che ci fosse una colonia di leoni sul canale che facevano i tuffi.
era bello stare a letto con le tende tirate e tutto il buio ancora dentro e pensare a questi leoni che facevano il bagno.
poi dopo un po' hanno smesso e mi sono chiesta come fossero tornati a casa, se avevano un pullmino come quando alle elementari in quinta ti portavano a far piscina o se invece al canale ci andavano colla canoa o col pattìno.
sono ancora qui che me lo chiedo.

silenzi

ci sono giorni
in cui le parole mi cuciono da dentro la bocca
e io vorrei dire, vorrei rispondervi, ma no:
s'appuntano come piccoli ami
e rimangono a rotolarmi dentro come brecciolino.
mastico ghiaia senza suono, pensieri che rimangono in me, riarsi.
sto in una bolla sommersa, i movimenti lenti, dolorosi.
è tutta un' attesa, la mia, della parola che si disvela.

lunedì 14 giugno 2010

ci sono giorni

ci sono giorni
che sto ferma, come vecchia che s'assecca al sole
le mani spaccate
aperte
gli occhi cavi, lividi.
e gli amici arrivano
come animali al pascolo arrivano
e dalle mani mie leccano parole
parole leccano
parole
e mi bevono
e mi mangiano
e poi s' acquietano e s'accuccian come cani.

sono madre di parole io
ma non so chi sono, io.

domenica 13 giugno 2010

matilde-matilde senza matilde

non ho dormito bene, sono stanca. non ho dormito un cazzo, altro che palle.
chiamo la nonna, quella del Dono, quella che non ci sente tanto bene.
le chiedo subito una storia, senza passare dal via.
ride.
inizia a raccontarmi una storia che sarà "un po' lunghetta".
ci sono un contadino e la sua sposa nei campi che hanno portato il loro bambino piccolo con loro.
"te l'ho già raccontata?"
"no, nonna"
"ah, meno male. allora posso andare avanti".
appoggio la testa al tavolo, sfinita. muso stanco, muso di cane, bisogno di coccole.
coccolami, nonna. adesso.
c'è questo bambino che è come in una cesta e lo vedo benissimo e sento il caldo, le cicale, il sudore e le mosche che si appiccicano alla pelle che odora pungente.
e poi suonano le campane della chiesa sulla montagna di fronte che erano delle campane grandissime e tutti si fermano per mangiare un boccone, un po' di pane, un po' di formaggio, un bicchiere di vino ma in quel momento arriva un'aquila o un uccello simile che si prende il bambino con quelle zampacce e io lo vedo, tutti i panni in cui era avvolto vedo, e i contadini che gli corrono dietro coi forconi, che la nonna precisa "che avevano i forconi e le roncole e tutti i loro attrezzi da contadini".
io vedo tutto e l'aquila continua il suo volo e la mamma si dispera e grida "parole che non posso neanche ripetere" e poi con tutto quel fracasso, l'aquila si distrae e finisce contro i fili elettrici dell'alta tensione "quelli che portavano la corrente a quelle fattorie sperdute" e il bambino cade, precipita, và giù giù e tutti rimangono con la bocca aperta e alcuni si coprono gli occhi "che da quelle parti è tutto una pietraia" ma il bambino cade preciso preciso su un fienile.
e la sua mamma va a prenderlo e piange dalla gioia e lo bacia tutto "che è felice come non mai di averlo ritrovato".
da quel giorno i suoi genitori continuarono a portarlo nei campi, ma non più in una cesta, ma in una gabbia, "una gabbietta, diciamo".
"insomma, hanno poi continuato la loro vita di sempre, da contadini, una vita di sacrifici. ma anche quel bambino lì, nella gabbietta...eh, beh, è la vita, no?"

la cosa curiosa è che, al momento dell'arrivo dell'aquila, io mi sono ricordata di quella storia.
ma la cosa impressionante è che nella mia mente ho rivisto LE STESSE immagini che vedevo da piccola, quando ascoltavo mia nonna.
"nonna? sai che io quando tu racconti vedo con i tuoi occhi?"
"ah sì? ma che bella cosa che mi dici!"
ha capito subito, la nonna. ha capito senza che le spiegassi questa frase bizzarra che mi mette nostalgia, non so perché.

ecco, ora ho sonno.
ora posso finalmente riposare, dormire, tornare un po' piccola.

joop

il mio dirimpettaio si chiama joop, tutti nella stradina lo sanno, tutti lo salutano dicendo hallo meneer joop.
il mio dirimpettaio mi ha incuriosito fin dall'inizio: un po' perché non ho mai avuto dirimpettai ma solo vicini di casa e invece questo è un dirimpettaio vero e questa parola, dirimpettaio, mi fa impazzire, e un po' perché il mio dirimpettaio è anziano ma di quegli anziani che ti incuriosiscono, non di quegli anziani stronzi tipo quelli che se ti vedono che stai entrando dal portone diventano di colpo dei centometristi e si fiondano in ascensore lasciandoti a piedi o di quelli che quando eri bambino ti tiravano i catini d'acqua gelata in testa dal terzo piano se facevi troppo chiasso nel primo pomeriggio, no, un anziano di quelli che ispirano curiosità.
il mio anziano dirimpettaio che si chiama joop, ieri, passando davanti alla mia finestra, mi ha visto e abbiamo fatto una piccola conversazione in olandese, la nostra prima conversazione. io ero molto emozionata e anche molto fiera di me, che parlare olandese mi vien difficile, con uno senza la dentiera ancor di più.
abbiamo parlato un pochino, io e joop, poi lui ha continuato il suo giretto col bastone e quando è tornato mi ha allungato la sua mano grande e bruciata dal sole e si è presentato. chissà quale sole gli ha bruciato le mani a quest' anziano joop olandese, mi chiedevo mentre si presentava. e già me lo immaginavo da giovane in tenuta da marinaio su una barca a vela a curaçao quando din! il suo nome ha risuonato nelle mie orecchie.
JOSEPH.
mi chiamo JOSEPH, ha detto.
joop si chiama joseph.
jo-seph.
no jo-op.
JOSEPH.
ecco, a me non risulta che joop sia un diminutivo di joseph, nonnò.
quindi adesso sono qui che mi chiedo perché si è cambiato il nome, nel presentarsi a me, joop. di solito ci si cambia l'età, mica il nome. chissà perché ha detto che si chiama joseph. per me lui è joop e io mi ero anche un po' innamorata di questo vecchietto proprio perché si chiamava joop che mi ricorda il jeep che mi ricorda...
è tutto il giorno che sono qui a pensarci a questa cosa di joop e di joseph e non ne vengo a capo e non mi va mica giù.
che poi io alle paroline ci rimango sopra incantata, incartata, incastrata e non ne esco più se mi piace un suono.
e joop mi piaceva assai e ora non ce l'ho più.
vabè, mi rimane la parolina dirimpettaio che è sempre meglio di vicino di casa, credo.
continuo a ripetermelo da stamattina, ma non è che mi consola, no, non mi sento consolata proprio per niente.

sabato 12 giugno 2010

matilde-matilde

ho chiamato la mia nonna, quella del Dono.
quando parlo di mia nonna, i miei amici di solito, per capire a quale delle due mi sto riferendo, chiedono "quella dei pizzoccheri o quella che non ci sente molto bene?". la nonna del Dono è quella che non ci sente molto bene anche se, riferita a lei, l'espressione "non ci sente molto bene" è davvero diplomatica. l'ho chiamata con skype e chiamarla con skype è proprio volerle fare una bastardata perché è tutto un gracchiare e un sibilare a cui lei risponde ostinatamente con uno sconnesso "eh, eh...ma comunque, sì, non ci lamentiamo". in alternativa ti dà ragione, anche se le hai fatto una domanda. a volte la chiamo con skype solo per sentirmi dare ragione, che fa bene all'autostima.
l'ascolto parlare, ripetere cose che mi ha già raccontato mille volte, e riconosco quella musica, quella musica che nelle mie parole non c'è e che non so dove trovare e mi viene una malinconia fortissima.
le chiedo delle storie che raccontava quando ero piccola, da chi pensa di aver preso a raccontare così bene. "dal papà vecchio" mi risponde. il papà vecchio era suo nonno paterno, cioè il mio trisnonno. sento che è lì il filo rosso delle paroline, è lì che tutto si snoda e fila liscio e tranquillo e scende a valle come fiume gonfio di pesci.
sono stanca, ho bisogno di un abbraccio, ho bisogno di parole.
"nonna, ma se io adesso ti chiedo di raccontarmi una storia, tu me la racconti?"
rispondimi di sì, nonna, ti prego.
non ridere, raccontami e basta.
"AHAH!"
no.
ti prego.
"ma la vorresti davvero, anche adesso?"
la voglio soprattutto adesso nonna, adesso che sono a casa in malattia, adesso che sono sola, lontana da casa mia e dai miei amici, lontana dalla persona che amo. la voglio adesso, dopo una giornata di vuoto totale passata tra facebook e youtube, la voglio adesso che mi sento così piccola che potrei starti sulle ginocchia.
"sì, sì, adesso".
per favore. nonna.

...

"eh, ma che storia vorresti?"

SI.

QUESTA è LA domanda.

adesso posso
lasciarmi andare
e
so che
tutta mi ricoprirai
di paroline di voce
e dentro tutto si ricucirà
e io sarò di nuovo tutta intera.

"vuoi una storia inventata o una di quelle che mi sono capitate quando ero piccola?"
davanti alla scelta non capisco più nulla
"scegli tu, quello che vuoi nonna" rispondo.
sposto la tastiera, incrocio le braccia sulla scrivania e ci appoggio la testa sopra.

e la mia nonna inizia un racconto che mi sbalza sull'appennino emiliano già alla prima frase. in pochi secondi sono al castello di matilde di canossa a toano con una nonna di otto o nove anni che deve fare la cresima ed è l'unica bambina col vestito corto perché gliel'hanno prestato.
la mia nonna piccola trova un buco e ci finisce dentro come alice. e come alice bambina curiosa continua a scendere in questo buco che "era sempre più piccolo, sempre più buio e si sentiva un tanfo, come di animali selvatici". e la nonna nel buco continua a scendere e pensa a quello che le dicevano, che la matilde di canossa aveva costruito dei cunicoli che univano tutti i suoi castelli sottoterra "e dicevano che c'erano anche dei fantasmi e sarà stato vero". la nonna scende fino che il nero si fa troppo nero e il passaggio troppo stretto e il tanfo insostenibile e decide di fare marcia indietro e fa pure fatica che quasi rimane incastrata.
quando esce tutta sporca la sua nonna la sgrida.
"la mia nonna" dice "che si chiamava matilde come quella del castello. che andava un po' di moda chiamare le bambine matilde. che se poi pensi che la matilde era del 1100...ce ne han fatte di matilde, che è stata una moda lunga!".

matilde-matilde.
le due clip di una collanina che si apre e si chiude.

"ecco, ti ho raccontato solo ora questa cosa qui perché mi ha fatto molta paura. me lo ricordo come se fosse ieri, quel buco."
e io quel buco l'ho visto, nonna, e ho visto quel nero e respirato quel tanfo. tu parli e io finisco lì dove mi porti tu e vedo quello che dici tu. tu nella voce hai la magia, tu porti dentro il segreto delle parole.
rimango muta, appesa un po' sì e un po' no a questa famiglia di cantastorie.

ma alla nonna, che ha finito di raccontare, il mio silenzio non fa molta differenza, che tanto non ci sente molto bene.

venerdì 11 giugno 2010

antiPINOtici


oggi pioveva un po', mi sono affacciata alla portafinestra del cucinotto per guardare in giardino e ho visto un merlo, un maschio: sono rimasta immobile ad osservarlo un paio di minuti poi è volato via. ho notato che per terra era tutto pieno di lumache e poi ho guardato Pino: Pino è il mio alberello di natale da quando sto qui ad amsterdam, per me è un po' come la pianta di leon, quello del film, solo che io non curo Pino come leon fa con la sua pianta, quindi il paragone non regge ma vabè, io ho guardato Pino e Pino era tutto pieno di fiorellini bianchi a stellina e io ho pensato "ma dai! non sapevo che gli abeti fiorissero...ma che bella cosa!".
poi ho realizzato che erano fiori caduti dall'alberino alto che c'è in giardino e quando me ne sono accorta ci sono rimasta un po' male.

prima pioveva

prima pioveva.
è scoppiato un temporale fortissimo, di quelli estivi, di quelli che ti restituiscono tutti gli odori che il sole si mangia.
una pioggia improvvisa e grassa, che ha fatto alzare joop dalla sedia e scappare il suo gatto tigrato.
appena ho visto che iniziava a piovere da temporale ho aperto la finestra.
ho guardato joop, lui mi ha sorriso in un modo struggente e mi ha fatto ciao con un movimento contemporaneo delle mani, un movimento curioso, dal basso verso l'alto, un prendere a sè, un abbraccio.
ho scattato alcune foto alle nostre bici sotto l'acqua che rimbalza.
a me il temporale piace, mia nonna da piccola mi ha insegnato a non avere paura dei tuoni. adesso, se ascolto la pioggia tra gli alberi, sul tetto, e il cielo che romba mi si squaglia qualcosa dentro, come un pianto.
vicino a joop sta un ragazzo biondo con lo zaino e le mani ficcate nelle tasche. guardano entrambi la pioggia che cade. il ragazzo deve entrare in casa, la porta è già aperta, ma sia lui che joop preferiscono star fuori a guardare questo temporale di inizio estate. mi sembra una cosa bella, di quelle che a milano, nel continuo correre, non ti capita di vedere: due uomini, uno giovane e uno vecchio, che stanno davanti alla porta aperta delle rispettive case a guardare la pioggia che cade. e a far commenti su come crescono le rose e l'insalata.
io appoggio la testa sulle braccia incrociate sul davanzalino. ascolto la pioggia che lava via tutto e mi calma. chiudo gli occhi e penso a un'immagine che ho visto l'altra notte: una bocca di lupo che mi leccava nella bocca, a lungo, come un bacio. ricordo distintamente il freddo bagnato del naso dell'animale e delle parti nere intorno alla bocca. ricordo che un po' ho pianto, ma in quel solito modo che mi prende quando vado in quei luoghi.
il ragazzo mi guarda. non vuole che me ne accorga ma ormai è troppo tardi. si sposta anche un po' per vedermi meglio, perché ha un ramo davanti che gli copre la visuale. la trovo una cosa buffa. è molto più giovane di me, non si è accorto che sta guardando una vecchia. mi viene un po' da sorridere, in fondo mi fa piacere.
metto il vaso del basilico sul tavolino fuori, dopo poco si sprigiona un profumo intensissimo. il ragazzo continua a guardarmi, ma non lo fa volgarmente, ma come se non riuscisse a trattenersi.
un pappagallo distrae tutti col suo grido; da dove sono seduta riesco a vederlo: fa una movimento rapido con la coda come un ventaglio che si apre e si chiude di colpo e sparisce in un lampo tra le foglie della betulla.
il ragazzo mi guarda di nuovo.
mi squilla il cellulare, mi allontano dalla finestra per andare a rispondere.
fuori arriva un vicino e inizia a parlare con il ragazzo.
joop si guarda intorno.
quando torno, joop e il ragazzo sono rientrati.
anna e la mia bici sgocciolano zuppe.
ha smesso di piovere.

doni e Doni

io non invento storie, non ne sono capace. cioè, quando invento non ottengo buoni risultati e questo mi dispiace.
ho una nonna che era capace di inventare per me e mio fratello storie sempre nuove che continuavano sera dopo sera. e non aveva letto un libro e non riciclava mai niente.
quando le chiedevamo "ma come fai?" lei rispondeva ridendo "non lo so, mi viene così".
ho sempre pensato che mia nonna avesse un dono, il Dono, quello che io non ho.
io non ho il suo stesso dono però ho quella cosa lì che posso vedere altri mondi.
io se vado in quei posti posso raccontare cose che sono tutte di immagini da vedere.
sono posti speciali quelli, posti che quando li vedi ti sembra di aver compreso il significato dell'universo e allo stesso tempo di non sapere nulla.
io racconterò un po' di cose che vedo nel mondo reale, un po' di cose che penso e un po' di quei posti di magia.

io spero che a qualcuno faccia piacere ascoltarmi, cioè, leggermi.

mercoledì 9 giugno 2010

magia piccola: guscio di noce

c’è un guscio di noce, piccolo.

io sono dentro questo guscio piccolo di noce piccola.

sono me con orecchie di coniglio lunghe, no anzi, di lepre.

dietro la schiena tutto pelo morbido di coniglia marroncina.

davanti è tutto normale, solo le zampe sono un po’ zampe e un po’ braccia e un po’ gambe.

ho tra le labbra un guscio di uovo azzurrino, come un confetto, solo un poco più grande. la mia faccia è normale, a parte le orecchie.

succhio da questo guscio ma non so cosa c’è dentro.

poi una mano -la mia mano di me normale- mi accarezza da in cima alla testa, tra le orecchie, fino al codino che è un po’ bianco sotto e mi viene un brivido lungo tutta la schiena. poi lo fa ancora. la seconda volta arriva al codino e infila un dito dentro, tra le mie gambe di mezza coniglia e mezza donna. lo fa piano e mi piace.

intorno è buio ma con la coda dell’occhio vedo una lampada da salotto, una specie di abat-jour.

poi la me grande e umana prende la noce in bocca e coi denti ci fa pressione nel mezzo e la noce si apre come un orologio da taschino: dentro c’è come una casa in miniatura, con pure l’abat-jour che avevo visto prima, e io sono sdraiata su un divano di velluto verde.

poi la me grande passa la lingua nel guscio e succhia via tutto come da dentro una cozza e io mi vedo affondare di schiena e sopra di me vedo solo stormi di uccelli o forse sono banchi di pesci, non lo so più.

fa tutto bianco di sole che acceca, fa tutto male agli occhi e non vedo più niente.


premessa

mi succede, a volte, prima di addormentarmi, di "vedere cose". in quei momenti io sono ancora vigile, posso ascoltare e parlare. solo che, ad occhi chiusi assisto, come in una specie di pre-sogno, a un luna-park di colori, di immagini che scorrono velocissime, di disegni che si animano, oggetti inesistenti che prendono forma, danze, colori e posti che vorrei poter fotografare per condividere. un tempo, quando mi accadeva, ne ridevo e basta perché magari, parlando con chi era sdraiato accanto a me, ad un certo punto rispondevo con frasi sconnesse poiché rimanevo impigliata in quella dimensione di sogno. poi ho scoperto che posso...diciamo "attaccarmi" a una di queste immagini e seguirla in profondità. e ogni immagine è portatrice di una storia.
ecco, a me piace seguire quelle storie.
seguendo quelle immagini posso andare in posti sconosciuti.
spesso in quei luoghi vedo cose incomprensibili. quelli in cui mi ritrovo sono soprattutto ambienti naturali, incontaminati. lì entro in contatto con animali particolari, grandissimi o piccolissimi, talvolta mai visti.
non sono cose che mi immagino. sono cose che esistono da qualche parte, me l'ha detto una persona di cui mi fido, una persona che amo.
insomma, io penso di essere un po' matta, ma quella persona, l'unica che abbia mai ascoltato queste storie, mi dice che non lo sono e che non devo avere paura di andare in quei posti e che se mi lascio andare vedrò cose bellissime. poi dice anche altre cose ma io non le ripeto perché sono troppo grandi. ah, questa persona queste "storie" le chiama magie.

io non lo so se sono matta o no, però so che quando vedo quelle cose e le racconto, è un po' come andare dritta nel centro della terra e farne ritorno.
e non mi sento matta, mi sento che sto meglio.

ecco, io qui ci voglio scrivere anche le mie magie.

la premessa è finita.
andate in prepace.


martedì 8 giugno 2010

inaugurazione

inaugurare un blog senza sapere cosa scrivere non mi sembra un buon inizio.
beh, comincio col dire che ho appena sentito un'oca starnazzare davanti a casa. lo prendo come un buon auspicio: mi piacciono le oche, sono animali intelligenti, forti e battaglieri.
che ci faccio qui?
ci voglio raccontare cose.
cose di verità e di immaginazione, cose che vedo e cose che stanno nascoste nella mia testa.
io qui ci appiccicherò paroline come mi si formano nella bocca.
paroline di sasso a volte, o di carne, altre volte.

io penso che qui le mie paroline ci staranno comode e rilassate, penso.