sabato 31 luglio 2010

confusa-mente

mi hai impollinata di segni e ora

le parole escono da me come pelucchi di pioppi

e peli di gatto:

un po’ s’appiccicano alla lingua e lì periscono,

un po’ si smarriscono

un po’ m’ingannano.

sono unghie smangiate e rotte

morsicate nel silenzio,

mozziconi di senso strabici

confusi

da quest’attesa sordomuta.

giovedì 29 luglio 2010

magia piccola per dormire

a volte mi capita che qualche mio amico mi chiami e mi dica: sara, ti prego, fammi dormire. sara, per favore, raccontami qualcosa, raccontami una storia.

io, quando mi dicono così, mi agito un po’. sì, beh, chi mi conosce sa che io mi agito sempre per tutto: suonano alla porta, mi agito; esce una comanda, mi agito; devono arrivare degli amici per cena? mi agito; piove? mi agito; c’è il sole? mi agito. non importa il perché, normalmente sono situazioni che non dovrebbero implicare strss, ma io mi agito comunque, sempre, sono agitevole di natura, non ci posso fare nulla, credo, ho preso dalla mia mamma.

quando gli amici mi chiedono di raccontar loro una storia mi agito perché credo sempre di non sapere cosa raccontare. in una situazione normale rifiuterei, invece in quei casi penso a quanto devono essere grandi e profonde la stanchezza, la fatica, la tristezza e il bisogno di coccole, perché degli adulti grandi e vaccinati si riducano, magari nel cuore della notte, a mandare sms o a fare chiamate internazionali al cellulare per chiedere come bambini una storia per poter dormire.

io li penso grandi ma piccoli, piccoli che cercano riposo e pace, e allora chiudo gli occhi di pelle e apro quelli della mente, dentro.

e lì vedo tutti i mondi di pesci e di animali, tutti mondi di luce e di buio, di conchiglie profonde come caverne e di praterie tutte di secchezza viste dall’alto, da sopra un’oca, un airone, una cicogna. vedo che sono tutta di acqua e faccio rumore della pioggia e prendo gli amici e li porto con me. dico all’ amico: vieni, vieni a sentire il rumore della pioggia.

io sono tutta di pioggia, tutto rumore di pioggia, fresco. lui di solito dice: sì ti seguo, e io divento gigantissima tutta di pioggia. lui entra dentro di me piccolo, come in una cascata. dentro è pieno di donne tutte nude come in un hammam, tutte calde e bagnate. lo prendono e lo immergono in una vasca di acqua calda e lo strigliano. poi da lì sprofonda giù nel mare. sempre nel mare si finisce e lì, o si muore, o si dorme. io chiamo tutti i pesci piccoli che fanno i cerchi, chiamo tutti capodogli a fare una danza, chiamo i pesci con la faccia brutta e quelli coi colori più accesi. tutti li chiamo e loro arrivano, sempre, mai mi lasciano sola. arrivano intorno a me e io con loro faccio tutta una culla di pesci, pesci che ti cantano la ninna nanna, pesci che ti proteggono e tu non hai più pensieri e ansie e fatiche, che io tutte le metto in un forziere in fondo all’abisso e poi lo chiudo e mangio la chiave. tu rimani tutto coccolato dai pesci, tu non devi pensare a niente ché sotto l’acqua puoi respirare tranquillo e io ti faccio dormire lungo e profondo.

sempre nel mare si finisce e lì, o si muore, o si dorme.

io sempre ti faccio dormire, ma lì sotto, io un po’ ci muoio, ma poco.


lunedì 26 luglio 2010

in questi giorni, l’ho detto, sono sempre stanca, dormo troppo poco. siccome ho sempre sonno, sono anche più distratta e così ieri, per questo, mi sono affettata un dito al lavoro. un bel pezzetto di pollice se n’è fuggito via: dove, esattamente, non lo so (ma comunque non stavo cucinando niente di vegetariano, per cui non è un gran problema). era una fettina finafina di pollice, tipo salame milano in vaschetta all’esselunga. era lì, dove adesso c’è una specie di occhio rossato che mi fissa.
io e il mio dito dimagrito ci guardiamo e io mi chiedo: ma ora che mi manca un pezzetto, soffrirò un po’ meno il mal d’ammòre? cioè, la quantità di mal d’ammòre che stava su quel tocchetto di pollice se n’è andata con quella striscetta di carnina oppure è saltata dal pollice all’indice, appesantendo tutto il resto del mio corpo? o, effettivamente, mezzo centimetro quadrato di me, fa anche mezzo centimetro quadrato di sofferenza in meno?
io dico che è così, l’ultima che ho detto, perché quella parte lì di me adesso non può più provar dolore: non c’è più.
ma se è davvero come penso, io domani chiedo a davide-sensei-chef di passarmi all’affettatrice e di farmi tutta a fettine finifini e sottili, come salame milano, che così poi magari, nella vaschetta del reparto frigo dell’esselunga, riesco pure a riposare.

***

- sono 64 chili e mezzo. che faccio? lascio?

insonnia

al tavolo, con le mie me di ombra

ci guardiamo

non ci riconosciamo

ci si mangia il cervello

e si aspetta il sonno come un colpo di pistola.


poi, domani, di nuovo.


sabato 24 luglio 2010

dFAM 8 o di cose da imparare


- quindi tu sostieni che ci sia sempre da imparare?, domando a ivano mentre gli stendo lo smalto sulle unghie dei piedi.
- certo.
- sicuro, sicuro?
- ti sembro forse uno che dice cazzate?
- no, per carità…ma pensavo…
- cosa?
- cioè, tu dici che c’è seeeeempre da imparare?, chiedo masticando.
- sì, ne sono fermamente convinto, risponde lui senza smettere di imboccarmi di pop-corn.
- mh.
- “mh” cosa?
- eh, secondo te quindi c’è da imparare anche quando le cose si ripetono?
- anche quando le cose sembrano ripetersi, sì. non è mai la stessa cosa.
- ah.
- …
- ma tipo…a te non capita mai di avere una vaga sensazione di déjà-vu, ogni tanto?
- sì, sono piccoli errori della matrice. ahah! questa era carina. vabbè, no, cioè, sì…a volte mi capita. ma è solo questione di prestare attenzione ai dettagli, a quelli giusti. e lì ti accorgi che non finisci mai di imparare. spesso è semplicemente una prospettiva diversa ad arricchirti.
- una prospettiva diversa…arricchirti…
- …che c’è? hai ancora dubbi?
- ma no, sai… è che è tutto il giorno che cerchi di convincermi con questa teoria e per farlo mi hai sottoposto alla visione di qualcosa tipo dieci ore di documentari sulla riproduzione delle antilopi rosse, del coniglio dalle orecchie pendule, della giraffa abissina, del cavallo albino della steppa dell’ uzbekistan, del geko di cipro…
- il geko di cipro non lo devi neanche nominare che solo al pensiero divento tutto un brivido…!
- sì, vabbè. dicevo che ci siamo sparati dieci ore di national geographic infarcite di 11 ore e… 27 minuti di film porno gay, lesbo, bisex, old, SM, cip&ciop e tricketrakke e…non so, io, per oggi, ne avrei anche un po’ a basta di tutto questo apprendimento, di tutta questa filosofia. comincio ad avere un filo di nausea e anche un po’ di sonno. che sono iniziati al quarantatreesimo minuto, ad essere sinceri.
- di documentario o di porno?
- ti ho fatto una media tra i due. ma mi sa che il porno mi annoia pesantemente.
- più della riproduzione dei bradipi?
- touchée.
io la televisione non ce l’avevo, prima. quando mi sono trasferita qui ho deciso di non comprarla perché è una cosa che mi annoia abbastanza e che non uso spesso, quindi sarebbe stato solo un oggetto in più da trasportare nel prossimo trasloco.
inoltre, sono un tipo soggetto alle dipendenze, a tutte: se mi installate una tv davanti al divano, iniziate pure a costruirmi una bara che mi contenga seduta perché io da lì non mi ci stacco più, ci invecchio fino a creparci.
mesi fa, dicevo che avrei tanto desiderato ricevere una sorpresa. ma una sorpresa da piccoli, una cosa solo da sussultare un poco e fare gli occhi a palla un po’ di sgrano. una cosa tipo un amico che viene a prenderti al lavoro con un thermos pieno di caffè. o la casa piena delle palline colorate che ci sono al deposito-mocciosi dell’ikea.
ora sono allungata a letto a mettere lo smalto ad un’iguana (maschio) e a vedere film porno dai quali, pare, c’è sempre da imparare.
ecco, direi che sono stata abbastantemente sorpresa dalla vita.
pure troppo, forse.

venerdì 23 luglio 2010

dFAM 7 o di cose di fiducia e scarafaggi

a mezzogiorno suonano alla porta. è un omino dell’ups. gli omini dell’ups mi incutono un po’ di timore: guidano quei furgoni marroni blindati che sembrano usciti dall’A-TEAM e hanno tutti queste divise marroni come i loro furgoni, divise tutte uguali, tutte molto ammerrigane, che li fanno assomigliare a dei grossi scarafaggi. non deve essere piacevole indossare una divisa che ti fa assomigliare ad un grosso scarafaggio sul furgone dell’A-TEAM. un grosso scarafaggio ammerrigano, per di più.
apro la porta in pigiama. questo omino non è il classico tipo ups da temere: peserà cinquantadue chili distribuiti lungo una centottantina di centimetri verticali. sembra fatto di carta di riso: pare fassino.
- meneer aivanoù? (non è fassino. o forse è fassino che ha imparato l’olandese)
- le sembro un meneer?
- avrà visto i baffi, suggerisce l’iguano, che si è subito materializzato dietro di me.
- tu taci, cretino. nee, ik ben niet meneer aivanoù. hij is niet hier.
- wie bent u?
- chi sono io? “una che si è addormentata alle quattro di mattina e che è stata svegliata da un ominoupiessedellaminchia” come la vedi come risposta?
- wat zegt u?
- niente, niente, non ho detto niente. ik ben… zijn vriendin. sono la sua ragazza?!? ma come cazzo mi è saltato in mente?
- toppy!, perfetto!, si entusiasma l’omino.
ivano se la ride e rientra. l’omino ups molla ai miei piedi un pacco pesantissimo, mi fa autografare il display di una macchinetta con una penna finta, saluta e si fa di nebbia. secondo me, senza quel pacco a fargli da zavorra, il vento se lo porterà via, quell’omino di carta velina.
sollevo a fatica lo scatolone, inizio ad aprirlo. ivano va in cucina e prepara un caffè.
- la mia fidanzata, eheh…
- machettiridi?
- la mia fidanzata…eheh! ma quindi vuole dire che se io e te siamo fidanzati facciamo le cose?
- oh, ma sei veramente ossessionato, tu! guarda che questo pacco è per te. hai ordinato qualcosa?
- no, io no. e tu?
- c’è un televisiore dentro. ripeto: ne sai qualcosa?
- io? no, ti ho detto di no!
di solito non metto in discussione la parola altrui, non sono una di quelli che cercano la menzogna, il secondo fine a tutti i costi in quello che uno fa o dice: sono una che normalmente si fida delle persone, io.
- scusa, dov’è la busta coi soldi per pagare l’affitto che avevo lasciato sul tavolo?
- …

delle persone, appunto.

giovedì 22 luglio 2010

dFAM 6 o di cose noiose

- un po’ più giù…ecco sì…un po’ più su adesso…
- …
- ah! sì! sì, sì, sì! lì! non ti muovere, sì! continua, continua!
- …
- mmmmmh!
- senti, invece di gemere in questo modo che mi ricorda la polacca dell’altra sera, non potresti raccontarmi qualcosa mentre ti massaggio i piedi? che ne so? qualcosa di tua nonna, qualche episodio noioso della tua infanzia di bambina saccente, qualcosa che ti è successo oggi al lavoro…insomma, qualcosa che non mi arrapi?
ivano mi guarda dai piedi del letto. io me ne sto spaparanzata a gambe larghe. mi sta massaggiando i piedi da mezz’ora, penso che potrei avere un orgasmo.
- ti devo raccontare qualcosa di noioso? al lavoro faccio un sacco di cose noiose! vediamo…ti racconto qualcosa di noioso che ho fatto oggi. ti racconto del burro.
da noi in cucina, al ristorante, si usano dei cubi di burro da quattro chili. per comodità, quando apriamo la confezione, porzioniamo e avvolgiamo i singoli pezzi nella pellicola trasparente per maneggiarli più facilmente.
porzionare il burro è un lavoro un po’ noioso e un po’ fastidioso, visto che normalmente alla fine ti ritrovi anche i gomiti unti.
di solito lo tagliamo in quarti, praticando una croce, e poi in ottavi, seguendo le diagonali. il burro però se lo tagli appena tirato fuori dal frigo è molto duro e allora è meglio aspettare un po’, è meglio aspettare che si ammorbidisca.
nel mezzo del cubo di burro c’è un buco. quando tagli il burro a metà per poi ridurlo in pezzi più piccoli devi infilarci le dita dentro, a questo buco, e fare leva, tirare verso di te. due dita ci puoi infilare al massimo, è un buco davvero piccolo. io ci infilo il medio e l’anulare. quando il burro si è ammorbidito è più semplice. le dita scivolano con facilità e dentro è tutto morbido e quasi caldo. quasi. sicuramente non freddo. le dita scivolano lì in mezzo senza bisogno di fare forza, che tanto si allarga da sé.
a tutti fa schifo quel lavoro del burro, tutti lo trovano noioso e sporco. io no. a me piace proprio quella cosa di infilare le dita in quel buchino stretto e scivoloso, come in una bocca piccola piena di saliva che ti risucchia, come…
- ok, basta così. riprendi a mugulare, è meglio.

vivo con un’iguana maschio arrapato ventiquattro ore su ventiquattro. un iguano poliglotta con la mania dell’ordine.
è arrivato in un periodo in cui sono molto stanca e in cui desidererei solo che mi sgocciolassero paroline colorate nelle orecchie per dormire.
non capisco esattamente cosa ci faccia qui, questa bestia, ma forse non serve chiederselo. sta qui con me come se ci fosse sempre stato.
e mi fa bene.

martedì 20 luglio 2010

dFAM 5 o dentrofuoridentro...fuori.

oggi, per la prima volta dopo non so quanto tempo, ho sentito nuovamente la spinta ad uscire di casa. sono andata in un parco bellissimo, ho visto le cicogne e ho scattato delle foto a dei bambini nudi che le inseguivano.

poi ho fatto la spesa e, al mio ritorno, ho trovato ivano affacciato alla finestra che dà sulla stradina.

- che ci fai fuori? e se ti vedono?

- e se vedono te, con quelle tette di fuori? guarda come sei uscita scollata…stai bene con quella maglietta.

- uh? davvero? grazie. anche tu stai bene…uhm…alla finestra. senza maglietta.

- era un complimento? la prossima volta che vuoi farne uno, lancia prima uno di quei razzi luminosi che stanno sulle barche, così capisco e ti ringrazio.

mi accorgo che i miei problemi di comunicazione, di solito sufficienti a complicare le mie interazioni quotidiane quel tanto che basta a nevrotizzarmi, con un’iguana aumentano esponenzialmente. con conseguente e logico incremento delle mie nevrosi.

tiro fuori dalle sacche della bici le borse della spesa e mi dirigo verso la porta: sembro un albero di natale carico di addobbi, un albero di natale ambulante.

- aiutarmi a portare le borse della spesa non è reato, sai?

- e se mi vedono?

- bavaffanculo và. aprimi almeno la porta.

entro e mollo tutto per terra, come al solito. stranamente non ricevo alcun rimprovero dall’iguano che invece di lanciarsi verso la cucina a riordinare il tutto, si riposiziona sulla poltrona rossa alla finestra. non capisco cosa stia facendo.

- mi sono persa qualcosa?

- la mamma di elise le sta raccontando una storia piena di pathos.

in effetti la stradina è tutta un declamare, tutto un lancio di suoni gutturali che crescono e si gonfiano e rimbalzano sui tetti e poi calano e strisciano tra le siepi e poi ancora su, come sulle montagne russe. è affascinante, sembra il teatro dei pupi. elise ride e ogni tanto lancia un “oh!” e un “ah!” emozionato.

- ma capisci? che cosa racconta?

- certo che capisco! mi hai preso per un iguano di paese? parlo 18 lingue, tra cui alcuni dialetti , italiani e messicani. comunque sta raccontando una favola di pesci.

- pesci di mare, pesci di fiume o pesci di lago? è importante.

- pesci degli abissi.

- me la racconti anche a me?

- sì, ma se prendi le ciliegie.

- va bene.

mi tolgo i pantaloni e rimango in mutande, scalza. lavo le ciliegie e le porto alla finestra.

- stai bene anche senza pantaloni, mi dice ivano sorridendo, quasi senza guardarmi.

- cretino. toh, ecco le ciliegie. fai a gara a chi riesce a metterne di più in bocca in una volta sola?

- ti straccio.

- guarda che sono fortissima, eh. sta’ a vedere.

mi infilo le pallette di frutta rossa una a una in bocca. sette. sono fiera di me: sono davvero grosse. ivano mi guarda, alza un sopracciglio (perfettamente depilato), prende la ciotola in cui ho messo le ciliegie e se la svuota in bocca. tutta in un colpo. la mandibola mi casca.

- in certi momenti capisco il piacere che provava il grillo parlante con pinocchio, sgrufola lui soddisfatto con la bocca ancora piena.

- sticazzi. meno male che ne ho comprati due pacchetti. vado a lavare le altre. tu ascolta la storia che poi mi devi raccontare.

torno in cucina. oggi è la prima volta dopo tanto tempo che provo di nuovo voglia di fare qualcosa, qualcosa che mi piace. ingozzarmi di ciliegie mi piace. lavarle tenendo le mani nell’acqua gelata mi piace. anche farmele mangiare da un’iguana ,sotto sotto, mi piace.

sono le dieci di sera e c’è ancora luce. sono di respiro sereno e poco mosso, respiro di ondine sinuose di sabbia che si fanno come tante piccole esse continue sotto il mare.

mi accuccio sul divano corto vicino ad ivano. inizio a deformarmi la bocca di ciliegie, infilandone tre alla volta.

ivano sorride e comincia a raccontare.


lunedì 19 luglio 2010

dFAM 4

nel sonno ivano respira leggero, non mi dà per niente fastidio, anzi, mi fa compagnia.

questa notte però ivano piangeva, non so perché: sognava qualcosa di triste.

io allora gi ho fatto gratt-gratt sulla testa e sul naso, pianissimo, e gli ho scivolato negli occhi parole di favola. ivano ha continuato a dormire, ma tranquillo, ogni tanto faceva un sospiro che era una specie di singhiozzo ma non si è mai svegliato.

io ero un po’ orgogliosa di me, di avergli fatto la magia per dormire.


P.S.: a quelli che mi/si chiedono chi ha vinto a memory: ho vinto io, ovviamente. dopo lui, per stizza, mi ha fatto fuori la pianta del basilico in un boccone. non mi è rimasto neanche il vaso.

domenica 18 luglio 2010

di follia allegra moderata 3 (da qui in poi dFAM) o risvegli

mi sveglio con un mal di testa furioso: ho dormito accoccolata su quel coso corto e bitorzoluto che si fa chiamare divano. rientrando ho trovato ivano collassato sulla diagonale del letto e non ho osato svegliarlo per reclamare il mio spazio.

mi faccio una vasca di caffè. ivano si sveglia, grugnisce, si siede sulla sponda del letto e si prende la testa tra le mani (o dovrei dire zampe? beh, insomma, quelle cose lì attaccate alle…braccia). mugula.

- quella troia polacca mi ha devastato.

- scusa?

- quella troia polacca me l’ha succhiato allo svenimento, manco fosse stato un milk shake. sembrava non avesse mai visto un fottutissimo cazzo d’iguana in vita sua. mi ha disidratato.

tutto questo non è reale. io sto male. ora è appurato.

- capisco. caffè?

- ma che caffè e caffè! non vedi che sono piegato dall’alcool?

- ah. avevo capito che fosse colpa della troia polacca…

- anche. ma mica ci siamo fatti un the, nel mentre.

- mi pare ovvio.

- quando bevi devi iniziare la giornata con l’ultima cosa che hai bevuto la sera prima. nel mio caso, whisky.

- mi dispiace, non ne ho.

- se è per questo, oltre a caffè, carta igienica e zucchero, in casa tua c’è poco altro. comunque ho la mia bottiglia. a proposito, ti ho fatto la lista della spesa.

in effetti sul tavolo c’è un posti-it con un elenco scritto in stampato maiuscolo con grafia molto femminile :

*pane

*frutta

*verdura

*latte

*biscotti

*struccante occhi

- scusa, come fai a sapere che lo struccante è quasi finito?

- ogni iguano ha i suoi piccoli segreti, baby. e ammicca.

trangugio il caffè d’un sorso, ivano si alza e si gratta una chiappa.

- vado a radermi. non mi posso vedere così. quando vai a far la spesa mi prenderesti anche della crema da giorno per pelli secche?

- hai qualche preferenza?

- basta che non contenga essenza di muschio selvatico: è così cheap…

- condivido. beh, io mi preparo per andare al lavoro. stasera ci sei?

ma che cazzo di domande faccio? sono così stanca che ormai prendo le cose così come vengono senza chiedermi se quello che mi sta succedendo abbia una logica nascosta da qualche parte.

- certo, piccola. e se ti va, quando torni giochiamo a memory.

- davvero? fico! io adoro il memory! sono fortissima a memory! però qui non ce l’ho. o meglio, ce l’avevo ma devo averlo perso durante il trasloco.

- non l’hai perso: te l’ho preso io per allenarmi. far passare il tempo dietro un frigo non è cosa semplice. d’inverno, poi…

- immagino. quindi giochiamo a memory?

- sì. ma non ti dimenticare la crema emolliente.

ivano entra in bagno. io mi devo fiondare al lavoro. sono stanca ancora prima di iniziare.

ma stasera si gioca a memory.

sabato 17 luglio 2010

di follia allegra moderata 2 o rientro a casa con uscita di testa

sono tornata a casa che era ormai mezzanotte passata. ho parcheggiato la bici nella stradina e ho infilato la chiave nella toppa. sono entrata in anticamera e, nel buio, prima di aprire la porta che mi separa dall’unica stanza che costituisce il mio appartamento, ho tirato un sospiro. un sospiro che era un po’ un “uff…la giornata è finita, finalmente” ma anche un “uff…e ora che sono da sola non mi resta che mettermi a pensare a come tutto stia andando dimmerda”. poi ho acceso la luce del corridoio.

per illuminare la camera-studio-salotto non ho un interruttore all’ingresso, devo dirigermi nella penombra verso il letto, allungarmici sopra e inserire nella presa la spina del neon.

oggi sono lì che ripeto questa routine quando, appena varcata la soglia della camera-studio-salotto, sento un odore di pulito che mi fa sentire a casa. ma non a casa mia: a casa della nonnina ACE o del signor spick e span. casa mia di solito ha un retro-odore di muffa, non di pulito.

mi guardo intorno sospettosa, immobile: che mia madre sia venuta a trovarmi senza dirmi nulla? no, impossibile, non ha le chiavi.

gli occhi si abituano al buio in fretta.

- eccoti finalmente, ti aspettavo. ti avevo fatto delle linguine al pesto. ormai si saranno raffreddate. la prossima volta avverti, se tardi.

linguine? pesto? avvertire? machiccazz…

a parlare sono circa due metri di iguana che leggono Het Parool seduti al tavolo con le zampe posteriori accavallate. per parlarmi abbassa il giornale e si sfila gli occhiali. è quella che dormiva dietro al frigo l’altro giorno, mi ci gioco le palle.

- si, dico, grazie. e scusa…

scusa?!? ma mi devo scusare pure con un’iguana?!? e di cosa poi? beh, effettivamente non ho chiamato per dire che avrei fatto tardi, ma davide mi ha chiesto se ci fermavamo a fumare una sigaretta poi ci siamo fatti una birra e si sa come vanno a finire queste cose…

- la prossima volta chiamo, aggiungo.

rimaniamo così, un attimo zitte, nella semioscurità, io e l’iguana. mi sento decisamente cretina e pure un po’ in soggezione, come di troppo.

- hai bisogno del bagno o posso farmi una doccia? chiedo.

- no, vai pure. io ho già fatto. ma prima mangia o la pasta s’incolla.

ubbidisco. l’iguana mi guarda distrattamente, un po’ annoiata. mastico piano, guardinga. l’iguana sbuffa.

- senti ma…come hai fatto ad entrare? le domando.

- veramente vivo qui da quando ci vivi tu. solo che ti sei accorta di me solo ieri.

- ah. mi dispiace. è che non ci guardo spesso dietro il frigo. ma perché stavi lì?

- perché ci hai tanta di quella merda sparsa in giro che non riuscivo manco a stendermi per terra.

- ah. sai, è un periodo un po’ così…

- sì, è un periodo di trent’anni. senti, vai a farti la doccia. io vado a letto. dormo io dalla parte vicino al muro, ho visto che ogni tanto ci camminano dei ragni e non mi dispiace. fai tu i piatti? io ho cucinato.

- ehm…beh, sì, mi sembra giusto. scusa posso sapere come ti chiami?

- ivano.

- ah, ma dai? pensavo fossi una femmina. ivana l’iguana…eh eh eh!

la bestia viene percorsa da un brivido di evidente insofferenza. mi sento un’idiota.

- vuoi un po’ di succo di mela? azzardo, per cambiare discorso.

- no, ho appena lavato i denti.

- ah.

rimango in silenzio, incrocio le braccia sul tavolo e ci appoggio la testa sopra. ieri, quando raccontavo quella cosa del respiro dietro il frigo e dicevo che tifavo per l’iguana, scherzavo. mica pensavo che me la sarei trovata in salotto. cioè, era una cosa così, tanto per scrivere qualcosa. comincio a essere davvero stanca e penso che questi si chiamino segni di squilibrio; non posso nemmeno dare la colpa al caldo, che qui si gira con la felpa e la sciarpina.

ivano piega il giornale e si alza per andare a dormire. prima però si volta verso di me, lo sento, anche se ho la testa abbassata. si avvicina e mi sfrucuglia i capelli, piano.

- e non stare troppo al computer, che non ti fa bene.

mi viene un po’ il magone. sto con la testa tra le braccia ancora un po’, poi mi alzo per andare in doccia.

sento un grande vuoto dentro come se avessi perso qualcosa di importante ma non riuscissi esattamente a capire né cosa, né dove. la presenza di questo sauro un po’ mi confonde ma neanche troppo, a dir la verità. e forse questo è grave.

ho sonno, tanto. i piatti li laverò domani.

- e ricordati di lavare i piatti, che l’ordine che hai trovato entrando non si autorigenera e l’iguana qui ci ha altro da fare che tirarti a lustro casa.


ok, scherzavo, come non detto.


mercoledì 14 luglio 2010

di follia allegra moderata

ero qui a letto scrivevo.
per concentrarmi, quando scrivo certe cose, soprattutto quelle del mare o degli animalini, chiudo gli occhi.
io ho chiuso gli occhi e ho iniziato a sentire tutti i rumori di quando la casa si riposa: il pavimento che scricchiola, l’acqua del rubinetto che gocciola, lo scaldabagno che brontola. poi, ad un certo punto, tra tutti i rumori, ho sentito il respiro di qualcuno che dormiva: ma guarda te, ho pensato, sono proprio sottili queste pareti.
il respiro però dopo un po’ si è fatto vicino vicino, come se fosse stato tra queste, di pareti, non oltre. sentivo tutto amplificato, tutto grande e giallo chiaro nella mia testa.
ho pensato: ci siamo, sto impazzendo. sto impazzendo come solo io posso impazzire, con un cazzo di autostima, come mio solito. non sono manco in grado di sentire le voci come dio comanda, no, i respiri devo sentire, io, i respiri!
questo respiro sembrava proprio reale. mi immaginavo che fosse il respiro di un uomo alto e un po’ secco che dormiva rannicchiato sul divano, non so perché. però sembrava anche un pochino il respiro di un animale un po’ grossetto, non per forza di una persona: un’iguana o a un cane da caccia. perché? boh, perché secondo me respirano così.
il respiro continua, regolare. cerco di razionalizzare tutto: non c’è nessuno oltre a me in casa, quindi quello che sento NON è un respiro (ovviamente ho già provato a trattenere il fiato, per essere sicura che non sia il mio). forse è il computer, la ventola. spengo il computer. il respiro continua ininterrotto. spengo anche l’altro computer. tutto come prima. forse è la stufa: mi avvicino e non è lei. il respiro persiste, profondo, tutto di sonno sereno e lineare.
vado in cucina. il respiro proviene dal frigo. io ho un fornello da campeggio che poggia su un frigo di quelli bassi: a volte, se ci lascio appoggiate le pentole, si sentono delle vibrazioni. vibrazioni, non respiri. per scrupolo tolgo la caffettiera e la padella che sono rimaste sopra ai fuochi da oggi a pranzo. niente. però capisco che il respiro viene dal frigo, da dietro il frigo per la precisione. e non è il motore del frigo, no. è qualcosa che dorme dietro il frigo, lì dove è tutto buio e nero (e pure un tantino polveroso).
quando ho capito che la cosa respirosa stava lì dietro a dormire e che quindi non ero pazza che sentivo le voci (anzi, i respiri) ma qualcosa c’era realmente, mi sono tranquillizzata.
non sono stata a spostare il frigo per vedere cosa fosse: non è che mi desse fastidio, quella cosa lì, non russava mica; l'ho lasciata quindi dormire che io controllavo semplicemente per essere certa che non fosse qualcosa che c’era solo nella mia testa.
e comunque non è una persona alta sul divano, questo è sicuro, anche perché il mio divano è piccolissimo e lontano dal frigo.
domani sposto tutto e vi dico che cos’è.

io, per me, tifo per l’iguana.

lunedì 12 luglio 2010

verrà l'inverno

sono stanca dell’estate, di quest’afa che ti costringe a denudarti, a essere più visibile, a esporre parti di te di cui non vai fiera. sono stanca, ma so che se ne andrà.

se ne andrà l’estate e si porterà via gli shorts, i sandali, le canotte, ma anche i ricordi di pappagalli verdi al parco, di baci da leccarsi come cani e di parole d’amore da sfilarti in un colpo la spina dorsale. sì, anche il ricordo dell’amore quindi se ne andrà, ma è un bene, che anche l’amore, come l’estate, a volte ti denuda e ti lascia per strada tutta di vergogna.

se ne andrà l’estate e verrà l’autunno e avrà il colore degli occhi che non dormono e nella bocca sentirà il ferroso delle domande senza risposta. verrà l’autunno e avrà l’odore dei tombini.

l’inverno arriverà gridando e mi farà donna di neve dai pensieri congelati, ma mi restituirà il mio respiro di uccella ostinata. l’inverno arriverà di sorpresa e mi porterà un bel cappotto lungo e stretto che tutta me imperfetta coi miei pezzetti instabili terrà cucita insieme e riparerà dai mai e dai persempre.

io in quel cappotto stretto mi ci farò il bozzolo e lì vi dormirò fino a morirci.


poi io

nel silenzio nel cappozzolo

ci muoio, sì

ma ci rinasco pure

e con ali più grandi

e bianche

che non si spezzano.


MAI.

sabato 10 luglio 2010

magia piccolissima di insetti


sto in una bolla d’acqua e sento solo wooooooo.
sono lontana da tutto e da tutti, sono nel mio bosco sotto il mare.
lì, sono me selvatica, sono io da sola, e non mi può succedere nulla di male: ci sono solo gli animalini che vengono, che tornano a proteggermi.
animalini piccoli, insetti, a migliaia. bruchi verdi e ragni e scarafaggi. niente è di schifo, è tutta una cosa di protezione. mi fanno un nido di filo e di bava lanosa, mi fanno tutta legata morbida e stretta che non devo temere niente. io sto sdraiata e galleggio sott’acqua e loro mi entrano nelle orecchie e negli occhi e nel naso e nella bocca e tutta mi aggiustano coi loro fili di seta e di colla. sento tutte le zampine che mi carezzano dentro, è tutta una cura di amore infinito e piccolissimo moltiplicato per migliaia di esserini.
io devo solo stare ferma e lasciare che facciano tutto loro.
io devo solo ricordarmi di non smettere di respirare, mai.

venerdì 9 luglio 2010

sbavature

ho una lisca di balena nel petto.
e vi assicuro che non è esattamente come avere del prezzemolo tra i denti.

giorno dopo giorno

stasera, parlando su skype con un mio amico che sta in mongolia, ho visto dalla webcam che là stava albeggiando. è stato come vedere un pezzettino del mio futuro: sapevo che quel sole era quello che sarebbe arrivato qui dopo qualche ora, che il mio domani era in lievitazione e altrove già lo chiamavano oggi. ho pensato in un nanosecondo a tutte queste cose scontatissime e mi è presa un’ eccitazione da arrivo di babbo natale o da primo appuntamento, una cosa che mi sembrava che avrei dovuto farmi bella per l’occasione.
lo so anche io che la terra gira e che il sole sorge a oriente e tramonta ad occidente, li ho visti anche io i documentari di piero angela e un pochino le ho studiate queste cose da scienziati anche se prendevo sempre cinque.
però davvero, vedere in diretta il giorno che si fa a migliaia di chilometri da casa tua è come sbirciare nel forno i muffin che si gonfiano, è una cosa da brividini sulla testa e risatina inevitabile.
almeno, per me.


giovedì 8 luglio 2010

amata torta pane

oggi ho maltrattato le melanzane, ho preso a pugni la pasta frolla, ho trascurato l’insalata, non mi sono curata della cottura delle fettuccine, ho dimenticato – e bruciato – il pane in salamandra.

mi hanno detto che dovevo metterci un po’ d’amore in quello che facevo, che mentre amalgamavo il composto dei flan sembravo un muratore che impastava la malta.

a me ‘sta cosa qui che mi hanno detto mi ha fatto un po’ girare il culo perché so che è vera. io stavo lavorando male, senza un briciolo di passione, e me l’hanno fatto notare. e io odio che mi si faccia notare che sono in difetto, che faccio male una cosa.

io di amore ne avevo tanto fino a poco tempo fa, ero tutta un traboccare di amore, ero amore in entrata e amore in uscita, amore a/r. avevo così tanto amore che me ne avanzava e in qualche modo dovevo usarlo quell’amore, non volevo sprecarlo. così ho iniziato a fare tutto con amore: compravo il biglietto del tram con amore, pulivo i calamari con amore, sceglievo i fiori con amore, salutavo i vicini con amore. pure le bollette pagavo con amore e mi sembrava anche di andare al cesso amorevolmente. ho reso la mia vita una specie di polpettone amoroso, un pot pourri di avanzo d’ammòre. detta così suona un tantino raccapricciante, però vi assicuro che non era poi così male, anzi.

poi, non ho capito bene cosa è successo: un intoppo nei flussi amorosi, un cambiamento nelle rotte dei voli amorevoli che ora sono solo di andata e niente ritorno e io mi sono trovata con un amore tutto sbriciolato tra le dita, una cosa un po’ tristanzuola che non capisci neanche più bene cos’è, una cosa che voleva essere una sacher torte, un mont blanc e invece è, boh…è una torta pane senza il pane.

quindi se l’amore che mi è rimasto è tutto lì, tutto in quella torta pane senza il pane, ditemi voi se è pensabile trovare amore d’avanzo da mettere in quello che faccio, in quello che cucino. ditemi voi se sapete dove trovarne, di amore per lavorare, per cucinare, ma anche solo per dormire un po’ col respiro tranquillo. che magari esistono dadi d’amore o bustine di amore solubile per tutte le occasioni, ma io niente, qui non ne trovo; sarà che sono per le cose naturali e dei succedanei mi fido poco, ma per ora nisba: se lo devono essere preso tutto ai saldi l’ammorebello perché qui non ne è rimasto nemmeno un cucchiaino da caffè, nemmeno un sorso piccolo di cannuccia.


mercoledì 7 luglio 2010

nel pozzo

una lingua
nera
che mi lecca di dentro
è il tuo silenzio.
una lingua
fredda
che mi spalanca gli occhi
e m'ingela il pensiero.

mi lappi
muto
nel tuo buio.
e mi tiri giù.

lunedì 5 luglio 2010

mi hanno scambiato la spina dorsale

devono di nuovo aver scambiato la mia spina dorsale con quella di un brontosauro, il mio scheletro pesa ora tonnellate.
fuori, per contro, ho pelle di fantasma, una placenta rinsecchita. una pelle fina fina come quella carta fina che usava una volta il mio macellaio, il signor cesare: una carta poco più che velina, una pellecarta che impacchetta ossa mischiate di mammuth o stegosauro o triceratopo, non so bene.
alzarsi dal letto con quella pelle fina con dentro quelle ossa che son come dei massi, è una fatica da non dirsi, è subire un'ingiustizia, e ti senti pure un poco perculata, che imprese così non le si affronta senza un preavviso, anche di poco. tutto il giorno è uno sbandare, una nausea e una vertigine fino a sera, che non vedi l'ora di ficcarti a letto e metterti a dormire pur sapendo che domani sei da capo.
mi ci vorrebbe un sarto delle ossa, una mano sicura, che mi riprendesse le misure per benino e mi mettesse tutta a nuovo, uno splendore.
poi, vestita di ossicina giuste e di pelle appena appena, di vertebre azzeccate e di pesi calibrati, io sarei donna di ali sottili-uccello, donna leggerissima ed equilibrata.
chissà come sarei tutta leggera ed equilibrata, tutta di ali di uccello. chissà quante cose potrei vedere volando su su con quelle alucce di rondinina.
sarei una cosa nuova, una cosa che forse non son io.
una cosa che forse non son capace.

e allora non m'arrischio e sto così: un po' brontosaura, un po' brontoloSara.


domenica 4 luglio 2010

che si fa con un cuore spezzato?

ma se ti si spezza il cuore, cosa fai? dove lo porti, il tuo cuore spezzato, per farlo sistemare? e che gli fanno poi? te lo steccano, gli danno dei punti, lo incollano con l'attack, lo graffettano? ne fanno ciondoli per i reciprocamente innamorati? o puoi portarlo indietro e te lo cambiano?
ditemi, fatemi sapere se mi serve uno scontrino, un numerino e a che sportello devo far la fila.
che qui è tutto uno sbriciolìo di cardio, è tutto un trito fino per soffritto.

venerdì 2 luglio 2010

quando tu non sei con me

di desiderio mi si spaccano le ossa
quando tu non sei con me.
nel caldo molle del meriggio e nell'assenza
nel vuoto sporco dei cassetti
della metà sfondata del mio letto di pisa
che tutto d'un lato - il mio - si sprofonda:
tutta mi riempi
tutta mi costringi
m'affondi m'anneghi e mi respingi.
sei di acqua
sei di segno fatto d'acqua
sei di sputo e di saliva.
son me senza di me
sono una mini-me
son la mia metà di me
quando tu non sei con me.

giovedì 1 luglio 2010

di carne aspetto

ma quando fuori
dal tuo io mi metterai
sentirò il taktak netto
la sforbiciata, il ferro
la lama che fa doppio?
mi servirai lo schiaffo, la cinghiata
con gli occhi tuoi su un piatto a colazione?
o aspetterai che tutto faccia sonno
pantano
dimentichìo lontano?
sono qui di carne
di carne e di cuore macinato.
io ti aspetto
su labbra di carne ti aspetto
rasoiata o bacio di saliva
io ti aspetto.

involontariamente ermetica

nel chiaccerìo dei pesci
nell'iride del cervo
la lingua si fa fiato
e si fa suono.
nel marsupio della terra mi denudo
e la parola entra ed esce
sesso nel sesso,
boccone di sasso,
pallina di oro.
incomprensibile
inascoltabile.

come morta

immersa nel presente
(un minuto presente
gocciolato goccia a goccia)
galleggio come morta
- come morta, come -
e ingollo acqua dalle orecchie.
è l'acqua che mi salva a me
che mi ammazza e che mi salva.
io nell'acqua faccio parole girini
parole come sassolini.
io nell'acqua sgravido segni
e nel perpetuo andare
nell'immobile muoversi dell'onda
io m'insabbio e m'impietrisco,
muta.

e, come morta
- come morta, come -
vivo.