venerdì 29 ottobre 2010

melancholische man en zeemeermin

c’era un quadretto, oggi, alla mostra su munch, un quadro piccolo che non sembrava tanto importante.
era un disegno, quattro righe buttate lì, un po’ coi pastelli, un po’ con l’inchiostro.
questo quadretto era grande quanto una foto formato standard, 11x15 circa, e raffigurava un uomo un po’ curvo, seduto su un sasso sulla riva del mare.
l’uomo si teneva la testa tra le mani.
di fronte a lui, sulla destra del foglio, stava fuori dall’acqua una sirena sdraiata a pancia in giù.  l’uomo era malinconico, lo diceva la didascalia, ma anche senza leggere la scritta lo avresti capito ugualmente, che se ci hanno messo prezzemolo e non quel signore lì a fare da testimonial di gardaland una ragione ci sarà.
il fondo del quadro era giallino, tipo carta del salumiere di una volta.
pochi tratti di verde e di azzurro per tracciare la profondità: un viale di alberi sulla sinistra, forse cipressi, una chiesetta sullo sfondo, tra le colline.
poi lì, in primo piano, queste due figurine, appena abbozzate, essenziali.
lui sta seduto, tutto di roccia, di giacca nera e capelli neri e pantaoloni neri e scarpe nere e con la mano si sorregge la testa, pensieroso.
lei lo guarda con un occhio troppo rotondo, sembra un occhio di rana o un occhio sbagliato, il naso sproporzionato, i capelli bagnati, collosi, di alghe.
lei lo guarda e aspetta
aspetta che tutta quella malinconia gli passi
ma non sa che dire
lo guarda e fa andare la coda nell’acqua
tutti cerchi blu scuro si fanno intorno alla sua coda di sirena
lei prova a distrarlo coi giochi di donnapesce
ma non serve a niente
è tutta una macchia nera
come che si fosse rovesciata la moka sul foglio e non si può più pulire
però lei guarda
e aspetta
e gli dice con la voce muta di sirena

tutto passa, uomo malinconico,
ma tu non abbassare la testa
tienila su,
guardami negli occhi,
guarda davanti a te,
guarda il mare
basta guardare i sassi,
ormai li hai contati tutti
guarda il mare
il mare
torna nel mare che ti fa leggero
e lascia il cappotto nero qui sulla riva
respira
respira, uomo malinconico
respira
poi se vuoi dopo te lo rimetti, il cappotto
ma adesso respira
respira nell’acqua
respira
ancora una volta
respira
ancora una volta
nudo.

e sembra per un attimo che lui ci pensi
alle parole di quella sirana
poi però no
poi torna melanconico
che così dice la didascalia
dice “uomo melanconico con sirena”
e le didascalie dicono la verità
e infatti uno mica può diventare “uomo felice” solo perché gli gira
mica è facile essere felici
ci vuol coraggio a esser felici
ci vuol determinazione
soprattutto se sei un uomo melanconico di un quadro
e in un quadro di munch ancor di più
che lì anche solo un refolo di pallida serenità
potrebbe sfrantumare i più studiati equilibri cromatici.


a me questo quadretto è piaciuto proprio molto, sembrava contenere una storia o mille.
volevo caricare una foto da internet ma non l’ho trovata: tante foto alle sirene di munch, ma neanche una alla sirena con gli occhi da rana.
per ricordarmi bene l’immagine ho però fatto un disegno a biro nera su una moleskine. magari carico quello.
o magari non carico niente, così immaginate e basta.

mercoledì 27 ottobre 2010

acquaticamente

è una settimana che ho nella testa tre polaroid mentali in movimento, tre cortometraggi. sono tre immagini che non mi so spiegare, ma che sento profondamente legate tra loro.
il senso non lo capisco ancora, ma forse, a raccontarle, lo troverò. 

nella prima c’è una folaga, una di quelle anatrine nere con la mascherina bianca, che si immerge nel canale davanti a casa mia e poi sotto l’acqua nuota e io dal ponte vedo dove va perché seguo come pollicino le bolle picolissime che salgono in superficie. ogni volta che si immerge io conto quanti secondi rimane sott’acqua: ventidue…quattordici…trentotto…quarantasette…

nell’altra c’è carla a undici anni, dodici forse,
solo il viso di carla ai bagni di saturnia, in una pozza,
solo il bianco intorno a quel viso rotondo
sotto l’acqua
gli occhi chiusi
sereni come non li ho mai visti
labbra carnose
i capelli neri di medusa sparsi
bollicine-perline sul naso peruviano
carla che sta sotto l’acqua e mi dice di contare
e rimane immobile un minuto e cinquantadue
io che mi spavento
che penso non respiri più
l’afferro per i capelli e la tiro fuori di colpo
carla che spalanca gli occhi e sputa
e mi chiede se sono diventata matta
spruzzi dappertutto, tosse,
no carla, è che credevo fossi morta
sono un’educatrice ansiosa, io.

poi nell’ultima scena ci sono io.
io che pedalo in bicicletta e sembro normale, come le altre persone, ma se mi guardi in controluce ti accorgi che sono tutta di acqua dentro, piena di pesci e di coralli e di alghe, tutta di acqua anche nella bocca e negli occhi.
vivo in immersione al contrario io, in immersione nel mondo di aria, fingo una vita tuttapposto, ma sto in apnea nel mondo di aria, che qui è tutto un fare finta, tutto un cercare di non pensare a quell’acqua che ho dentro, a quei pesci e a quei colori perché fa male.

io a volte mi chiedo
se alle papere manca mai il respiro
e se carla respirava meglio senza fiato nella pozza o sopra ai sassi bianchi di saturnia
io a volte ci penso e me lo chiedo
perchè per me la risposta non è così scontata
perchè a me l’aria mi manca
mi manca l'aria nell’aria
no, anzi,
a me mi manca l’acqua nell’aria,
tutti i giorni,
pur avendocela dentro.

sabato 23 ottobre 2010

i cani neri

grattano alla porta-finestra minuscoli cani neri
piccoli musi di cane senza padrone.
piove, e forte, che fuori è un pieno di rumore  e dentro casa zitto.
solo la stufa soffia,
e anche il vento dal buco nel muro soffia, freddo.
io mi muovo invisibile senza suono
ascolto i cani
e la pioggia
e ogni respiro di stufa.
solo
faccio rumore con la forchetta nel piatto
ma pochissimo,
una lama sul ghiaccio.
sgocciola, fuori,
schioccano gocce sugli alberi
sui cani
nel nero.
la testa del cane mi guarda
muta
dentro.
sa il cane dove guardare
guarda il cane dove non voglio esser guardata.
negli occhi del cane il mio dentro
la mia me di acqua senza il guscio
il cane vede
e lecca
e lecca
e lecca.
io sono la me nascosta
biancovestita
nella bocca del cane
nel buio
in una casa piccola
con una luce gialla
una nidiata di cani-pulcini intorno
la pioggia che allaga le orecchie
io me
annegata
nella bocca del cane.

specifico

non è che sono sparita, è che mi sto concentrando un po' sull'altro blog, che devo capire come riuscire a raccontare cose utili e interessanti senza fare raccontini aridi da guida turistica.

e poi mi sforzo anche di uscire un po' di casa cercando di riuscire a stupirmi di nuovo.
a volte -poche- ci riesco. e quando riesco lo racconto. 
altre volte no. e allora penso. 
o non penso e rimango in silenzio tranquilla e con la testa vado in posti dove non succede niente
solo posti da vedere
posti-panorama
posti dove solo piccoli dettagli si muovono
-un treno giallo che corre sui binari, la luce di un faro sulla costa, nuvole-  
posti che ci puoi solo fare delle fotografie di parole 
ma a volte non serve neanche 
e allora guardi 
e ti riposi 
e va bene così.
forse.

martedì 19 ottobre 2010

cose da non crederci, che a crederci fanno felici: seconda parte

il blog su amsterdam di cui vi avevo parlato è partito. devo ancora modificare alcune cose (tipo quela promessa da giovane marmotta che compare vicino alla foto del mio profilo: NON l'ho scritta io!) ma pian piano si farà tutto. spero di riuscire a starci dietro.
di una cosa sono contenta: ho ottenuto dalla redazione il permesso di scrivere tutto in minuscolo: AH!

ecco il link al sito:
http://www.zingarate.com/network/amsterdam/

lunedì 18 ottobre 2010

impossible is nothing (più o meno)

l’altro giorno era uno di quei giorni in cui ti sembra di sprofondare in un pozzo di gommapiuma e soffocarci dentro e mi hanno chiesto che cosa mi avrebbe fatto stare meglio in quel momento. io pensavo solo a una cosa, ma sapevo che era una cosa impossibile da ottenere, tipo come chiedere a un granchio di camminare diritto. allora io ci ho ripensato a lungo, ma dentro non sentivo veramente nulla, nessun desiderio: tutto piatto, proprio da non sapere da che parte iniziare. poi ho guardato fuori dalla finestra. io fuori ho un tavolino con due sedie. mi sono ricordata che fino a non molto tempo fa mi piaceva bere il caffè lì fuori. e mi sono ricordata che ancor di più mi piaceva andare sul canale - che sta in fondo alla stradina- portarmi la mia tazza di caffè e fumarmi una sigaretta guardando le papere. una roba molto da vecchi, sì, ma a me piaceva.
mentre rispondevo alla persona che mi aveva posto la domanda io guardavo fuori dalla finestra ma quel fuori mi sembrava lontanissimo e irraggiungibile e l’idea di arrivare al canale proprio mi atterriva, era ed è un’idea paralizzante. pensavo a tutte le cose belle che avrei potuto vedere ma era come non avere nessun aggancio emotivo ad esse, ecco.
è tanto che non vado più sul canale, pensavo, manco mi ricordo più come si fa, ormai. capace che se arrivo fino a lì mi dissolvo, puff! divento di vapore trasparente, sicuro.
poi però oggi mi sono decisa. mi sono impegnata tantissimo e ce l’ho fatta. ho preparato il caffè, la borsa con il tabacco e la moleskine, mi sono infilata il cappotto pesante, quello verdone col cappuccio di pelo, quello che mi protegge da tutto, e sono uscita con la mia tazza fumante in mano.
una volta fuori non ho più pensato a quanto mi sembrava difficile fare quella cosa. già intravedevo il canale, già sentivo le anatre starnazzare.
mi sono seduta sulla panchina e l’acqua era un po’ nera e un po’ oro che ancora c’era un filo di sole ma già iniziava il buio.
mi sono portata un biscotto grosso alla cannella e l’ho intozzato nel caffè.
mi sono rollata una sigaretta e l’ho fumata.
una paperina di quelle nere col muso bianco, quelle che sembra che portino una maschera neutra sul volto, mi è venuta vicino a becchettare le briciole.
sono passate quattro barche. una di queste si chiamava joie de vivre e a bordo c’era anche un tipo con una fisarmonica rossa. speravo che iniziasse a suonare passandomi davanti e invece no. a me piace molto la fisarmonica.
passando, joie de vivre ha smosso tutta l’acqua dietro di sé. ma l’ha fatto piano, morbida, quasi liquida anch’essa. quando la barca è passata si sono fatte tante ondine regolari come di olio, che sembrava che avessero tirato le lenzuola di un letto dal centro.
faceva freddo ma mi piaceva stare lì, non mi ricordavo che fosse così bello.
uno dopo l’altro sono planati ai lati del canale diversi aironi. uno camminava proprio vicino a me.
io lo guardavo muoversi al rallentatore sull’acqua. poi quardavo anche gli altri suoi parenti e stavo bene.
mi facevano proprio bene dentro.
che gli aironi si muovono sottovoce e sono come una leccata di cane sul muso, calda e tutta di cura, a volte.

giovedì 14 ottobre 2010

chissà chissà


                                                         Se
                                                      nto
                                                         che
                                                            mi
                                                              sto
                                                           infi
                                                            lan
                                                               do
                                                              in
                                                           un 

                                                                b

                                                           u

                                                              c

                                                           h

                                                              i

                                                              n

                                                             o
                  

                                             un buco stretto di pelo
un buco lungo e buio.
                                    
                        non è un bel posto, a dir la verità.
allo stesso tempo però mi piace, è caldo.

                                        ed è
                                             tutto in discesa
                                                 silenzioso.
                                                           
                                                            è come sguisciare nella pancia di un gatto
                                                                  o dentro un marsupio animale.

                                                tante voci gialline,
                                      come pulcini, sottili,
                                                  mi chiamano da là sotto:
      
                                                   e
                                                io
                                              v
                                              a
                                          d
                                            o
                                           
                                            v
                                           a
                                            d
                                                o


che più si scende, più si fa calduccio
e poi devo solo
lasciarmi scivolare.

chissà se alla fine di questo buco,
all’uscita di questa tana di pelliccia,
ci sarà qualcuno ad aspettarmi,
chissà se ci sarà una mano grande ad acchiapparmi al volo
quando salterò fuori di qui.

chissà
chissà
                                                 chi lo sa.

martedì 12 ottobre 2010

cara sara ti spero bene

"Segrate, 9/10/10

Carissima Sara,
Qui a Segrate oggi e una bellissima giornata nonostante l'autunno alle porte e a me è venuta la voglia di scriverti questa semplice letterina io stò abbastanza bene nonostante il cuore qualche volta è un pò irrequieto ma io con le medicine lo tengo calmo ma è tutta colpa degli anni che sono troppi però cerco di tenermi in forma e in movimento ogni mattina vado a fare quattro passi e anche un pò di spesa e quando sono in casa e rilassata faccio le borse che ne ho già una decina tutte diverse una dall'altra, poi anche le presine che ne ho già una ventina e Isabella che mi ha scritto un paio di volte ha detto di mandarle che sua mamma le vende (non sò, forse avrà un negozio) e Lorenzo tanto carino mi ha detto che quando ho tutto pronto porta lui la merce in Bergamasca.
Cara Sara ti spero bene e anche il lavoro non manchi e sia di tuo gradimento poi tu ci sai fare hai un bellissimo carattere e sò che ti fai volere bene conta molto anche la diplomazia.
Ora cara Sara non vorrei averti annoiata ti mando un grosso abbraccio e un bacione 

(a presto) nonna Lina"


e ho fatto come Amélie, quella del film del mondo favoloso, e mi sono sciolta in un catino di lacrime sul parquet. perché una lettera della nonna dopo nove ore passate a far ravioli al lavoro, una letterina trovata sul pavimento (perchè il postino la posta la infila dalla fessuretta nella porta e quindi poi cade tutta quanta per terra), una busta che la apri e ne viene fuori un foglio di quaderno ad anelli, piccolo ,a  righe di quarta, coi margini, tutto riempito di una scrittura a ricciolini, inclinata verso destra che vuol dire spinta in avanti, verso il futuro, una cosa così è una cosa che prima ti illumina e ti fa felice ,ma che poi, quando arrivi alla fine e leggi "cara sara ti spero bene", ti si incastra come un pugno in gola e puoi solo sentirti tanto piccola e avere voglia di avercela vicino la tua nonna, ma come allora, quando la guardavi dal basso verso l'alto e ti sembrava altissima, quando ti insegnava a piegare i cappelletti e a cucinare le frittelle di mele facendo attenzione a non grattare il bianco della scorza del limone che se no prende l'amaro.
e invece sei grande e stai lontana migliaia di chilometri, ogni volta pensi che le scriverai e poi non lo fai mai e, quando lo fai, scrivi banalità perché non riesci a comunicare con lei come vorresti.
non riesci a chiederle bene da dove vengono le paroline per fare le storie, non riesce a spiegartelo, lei, lei solo ti dice che era il papà vecchio a raccontarne sempre di nuove, tutte diverse.
e allora tu immagini inverni rigidi sull'appennino e bambini nella stalla tutti intorno al papà vecchio a sentire storie e tu ti vedi là, una di quei bambini, ma non senti, non riesci a sentire cosa racconta, come lo racconta, che sei troppo lontana, che davanti ci sono tutti gli altri e a te ti hanno lasciata indietro.
pensi alla nonna, pensi alla montagna, pensi che domani le scriverai una bella letterina ma dentro di te sai già che non lo farai ma a questo, ovviamente, preferisci non pensare.

migrano (per davvero, stavolta)

eravamo sedute al tavolino di un caffè lungo un canale, cristina mi aveva appena detto una cosa bellissima e io le ho viste: uno stormo di oche in formazione a V che passava alle spalle della mia amica, seguendo precisa la linea in cui il cielo da blu smalto diventava di colpo rosarancio.
me lo sentivo che sarebbe arrivato il momento, lo sentivo pedalando sull’amstel l’altro giorno che ormai c’eravamo.
mirna me lo dice sempre che devo fidarmi di me, che devo dar retta alle  mie sensazioni, che io sento giusto.
le oche passavano e le parole mi si sono gelate e mi sono cadute dalla bocca, disintegrandosi sul tavolino di legno.
sono solo riuscita ad alzare un braccio per indicarle:
- guarda…partono…
poi ho perso il filo del discorso, tutto si è mischiato.
nel canale subito dopo sono passate altre oche, tutte in fila. le oche quando nuotano fanno ridere perché tendono a lungo prima una zampa e poi l’altra, poi tutte e due insieme, e sembra che facciano esercizi di danza classica.
io le osservavo passare e dentro di me le salutavo tutte.
quando sono tornata a casa, qualche ora più tardi, ho guardato nel posticino dove le mie oche vanno dormire alla sera ed erano tutte lì, tutte undici.
io lo so che se ne andranno tra poco.
però stasera le ho salutate tutte bene.
adesso possono andare
tanto lo so che torneranno:
sono le mie oche
e le oche tornano sempre.

lunedì 11 ottobre 2010

Poesia di altri

Ho una cosa dentro che non so dire, che non posso dire perché grande, estremamente, e dolorosa ancora troppo per esser presa tra le dita.
E allora la dico con parole di altri, parole -queste sì- rotonde e perfette.
E intanto aspetto di trovare le mie, di parole.
Intanto aspetto.



Alcesti

Ma solo pensare a te.
Non è una figura che viene
una nitida traccia.
E' come cadere in un posto
con un po' di dolore.

Tu sei il mio io più esteso
deposto sul fondo mio. Tu. Non c'è
un'altra forma del mondo
che si appoggi al mio cuore
con quel tocco, quell'orma.
Tu. Tu sei al mondo la più cara
forma, figura, tu sei il mio essere a casa
sei casa, letto dove questo mio corpo inquieto riposa.
E senza di te io sono lontana
non so dire da cosa ma lontana, scomoda un poco,
perduta, come malata,
un pò sporco il mondo lontano da te,
più nemico, che punge, che
graffia, sta fuori misura.

Mio vero tu, mio altro corpo
mio corpo fra tutti mio
più vicino corpo, mio corpo destino
ch'eri fatto
per l'incastro con questo mio
essere qui in forma di femmina
umana. Mio tu. Antico suono
riverberante, antico
sentirti destino intrecciato
sentire che sei sempre stato,
promesso da ere lontane
da distanze così spaventose
così avventurose distanze da
lontananze sacre.

Tu sei sacro al mio cuore.
Il mio fuoco
brucia da sempre col tuo
il mio fiato.

Io parlo delle forze-
di correnti sul fondo del mio lago
sul fondo del tuo, oscure e potenti,
più del tempo dure più dello
spazio larghe, ma sottili
al nostro sentire,
afferrate appena
e poi perdute, nel loro gioco.

Che cosa siamo io e te? Che cosa eravamo
prima di questo nome? E ancora
saremo qualcosa, lo sappiamo e non
lo sappiamo, con un sentire
che non è intelligente lavorio cerebrale.

Nessuna parte di corpo che muore
nessun pezzo umano, nessun arto,
nessun flusso di sangue, nessun
cuore, nessuno, niente che sia
stretto nel giro del sole, niente
che sia solo terrestre umano muove
il tuo cuore al mio, il mio al tuo,
come se fossero due parti di un uno.

Allora tu sei la mia lezione più grande
l'insegnamento supremo.
Esiste solo l'uno, solo l'uno esiste
l'uno solamente, senza il due.


Mariangela Gualtieri, Bestia di Gioia

fermi tutti, voglio scendere.

devo prendermi un attimo di respiro nella testa, che tutto quello scritto fino ad ora mi suona stonato. provo fastidio anche solo a vedere la lista dei post, mi sembra una sfilza di inutilità, mi pare di aver sporcato migliaia di parole.

tutti i giorni devo scrivere, ok.
ma devo capire che cosa.
così non va.
troppo complicato spiegare perché non va, ma non va.

portate pazienza. 
mi sono un po' persa ma so dove devo andare, devo solo capire che strada fare per arrivarci.
forse non cambierà nulla e continuerò a scrivere ogni giorno le stesse cose che ho scritto fino a ieri, o forse non lo so. 
però devo potermi dire che posso fermarmi e fare pulizia nella mia testa, prendermi il mio tempo e sapere che mi aspetterete. 
e se non mi aspettate pazienza: non ho alternative per arrivare laggiù, là dove le parole di sasso , le parole rotonde e bianche stanno e aspettano solo di essere pescate.

sabato 9 ottobre 2010

dFAM 18 o vengo anch'io! no, tu no!

- …ti ho detto di no, ti ho detto che non ti lascia qui.
ivano è seduto al tavolo, sta parlando con fare annoiato alla cassettiera e nel frattempo legge la pagina degli annunci delle case sul Volkskrant. tra qualche mese dovrò andarmene da questa casina magica e pare che il mio iguano abbia deciso di darmi una mano nella stressantissima opera di ricerca di un tetto.
- digli qualcosa, ti prego: pensa che tu voglia lasciarlo qui.
- ma chi? arrigo?
- fai un po’ tu: fino a ieri eravamo in due, oltre a te. se siamo aumentati forse è ora che inizi a prendere le goccine, stellina.
- AH-AH, simpatico. ma dov’è? nella cassettiera?
- mh-mh.
apro il cassetto in basso, il più profondo. il nano bambino sta dentro tutto appallottolato e mi guarda con gli occhi sbarrati.
- arrigo…ma che ci fai qui?
-il RRRipostiglio esplodeva, la cassapanca eRRRa piena di RRRoba di lana che pizzicava…questo cassetto eRRRa vuoto e mi ci sono RRRaggomitolato dentRRRo.
- sì, ho capito…ma perchè?
- peRRRchè se no tu mi lasci qui, quando tRRRaslochi, lo so!
- a parte che manca ancora tanto tempo al trasloco…
- vedi che mi lasci qui?!? non hai detto di no, hai detto che manca tanto tempo!
mi guardo intorno e penso a quando me ne andrò di qui.
questa casa è davvero piccina, povera di cose da portare via: scrivania da 10 euri, poltroncina rossa con rotelle, libreria billy (of course!), letto a una piazza e mezza, una lampada, mobiletto in legno con contenitori stile asilo e mobiletto bagno. tutto di mamma ikea. le sedie, la cassapanca, lo sgabello da computer e il tavolino del giardino li ho trovati in strada e quindi lì possono tornare, nel caso. armadi non ne ho. la cassettiera è di gloria e dovrei restituirgliela. altro, a parte i libri, un paio di valigie di vestiti, qualche stoviglia, cuscino, lenzuola e piumone, non possiedo.
eppure, questa casa è piena.
a riempirla, l’assenza: biglietti attaccati ai muri che hanno lasciato gli amici e le amiche -tantissimi- venuti a trovarmi dall’italia, disegni, poesie, stickers di papaveri e papere.
questa casa è piena di risate e di parole sussurrate e di discorsi grandi e di chiacchiere leggere come bollicine.
questa è una casa che ci si lasciano le impronte, fin dalla stradina, che così poi si ritrova il cammino per tornarci.
- dai, arrigo, esci. ti prometto che ti porto.
- giuRRRa!
- giuro!
- non diRRRe falsa testimonianza! è peccato! tu non giuRRRi mai! perchè adesso giuRRRi? sei bugiaRRRda! sei pRRRopRRRio bugiaRRRda! negli annunci peRRR la casa hai anche scRRRitto che non hai né bambini né animali! bugiaRRRda!
ivano mi guarda da sopra gli occhiali sarcastico, come a volersi complimentare per la mia bassezza.
- ragazzi, se scrivo che ho un bambino e un’iguana, nessuno mi prende!
- tu non hai un’iguana, baby. tu hai un iguano che qualsiasi donna in età fertile e qualsiasi uomo sessualmente attivo vorrebbe come compagno di…
- blablabla! non ti sento! non ti sentiamo! comunque è inutile che proviate tutti e due a farmi sentire uno schifo: al momento non abbiamo ancora una casa, quindi…
- calma, baby. senti cosa ho trovato: prinsengracht, casa indipendente con accesso al canale e piccola imbarcazione. ingresso, salotto, cucina a isola, bagno con vasca jacuzzi, tre camere da letto con materasso ad acqua, terrazza e posto auto. ristrutturato nel 2008, pavimenti in parquet, travi a vista…
- non vorrei interromperti, ivano, ma mi sa che siamo un tantino fuori budget.
- ah, dici? e che budget abbiamo?
- 450.
- per le spese. e per la casa?
- quello è il budget per la casa. comprensivo di spese. se risparmiamo anche sulla nutella e l’ammorbidente.
- chiedetemi tutto, ma non di uscire con la camicia incartapecorita.
- …
- ok, dunque, vediamo…basta spostarsi un po’…alla fine non dobbiamo mica stare in centro per forza. ecco, questo è perfetto! bos en lommer, area multietnica, mediterranea...
- bos en lommer non è un’area multietnica. bos en lommer è il giambellino dei marocchini ad amsterdam.
- come sei pignola. guarda che non sei più un’educatrice, risparmiaci i pipponi di pedagogia interculturale, please.
- riportavo un fatto. ma forse se la giro in un altro modo mi capisci meglio: burqua. velo. djellaba. tuniche. babbucce. no forme, no party.
- ok, ricevuto. l’ammorbidente non è poi indispensabile che va di moda lo stile stropicciato.  e alla nutella arrrigo è allergico, vero arrigo? cerchiamo di spostarci un po’ più verso il centro mantendo una sobrità di stile, valà…

sono stanca. l’idea di andare via da questo posto mi affatica.
io ho paura che se cambio casa, gli amici non ritrovano la strada per tornare a trovarmi. e nemmeno le oche che migreranno tra poco.
quest’assenza che riempie la stanza mi sembra più pesante e ingombrante del solito, stasera. è tutto un vuoto che si annida tra le pieghe delle lenzuola e nei cassetti e nelle crepe del muro, è tutto un lievitare di ricordi.
figuriamoci se non mi porto appresso ‘sti due cosi, il nano e l’iguano. figuriamoci se non me le porto dietro, le mie fragilità.

venerdì 8 ottobre 2010

stasera non è sera


questa non è serata per scrivere, questa è serata per fare fagottini di parole per l’inverno.
tutto è come pasta di pane troppo bagnata, una palude di lettere che non si sgarbugliano e m’inciampano le dita sui tasti.
è una vergogna sottile che mi affonda, questo mio scrivere incapace, è un pesce d’aprile di carta attaccato alla schiena.
è la mia follia sbandierata scioccamente, è la mia solitudine fotografata riga dopo riga.
è sconfitta e riflesso di stupidità.

stasera non ho nessuno che mi ascolti, nessuno di carne, intendo
stasera vorrei che qualcuno raccontasse a me qualcosa e mi facesse addormentare
stasera io non ho parole bianche e rotonde da regalare
stasera vorrei solo avere
avere
avere
avere
avere
e ancora avere.

raccontare
ciò che vedo nella mia testa è
farlo esistere e
stasera
fa una cazzo di paura fottuta.

mercoledì 6 ottobre 2010

migrano

ieri passeggiavo con la vale sul canale davanti a casina e le ho detto: guarda vale! le oche che ho raccontato nel blog! lei ha guardato e ha visto tutte le oche bianche sull’acqua ed era sorpresa, che si chiedeva come mai dormissero nel bagnato e non nell’asciutto. io le ho detto che non sapevo il perché preciso, però sapevo che quel posticino lì dove dormivano è il posto dove fanno il nido e covano le uova e aspettano che nascano i piccoli.
le oche quando si mettono lì sono bellissime, che specchiandosi nell’acqua diventano doppie e sembrano dei baci di dama grossissimi fatti con le meringhe.
a me le oche piacciono tanto: quando dormono, quando camminano, quando volano, quando sbattono le ali, quando ti guardano, sempre sono belle le oche.
ma io lo so che tra un po’ voleranno via, che partiranno per la migrazione.
è tutto il giorno che ci penso e questo pensiero mi rende nervosa, perché non so quando se ne andranno, non mi ricordo in quale periodo le vedevo volare via gli altri anni, non mi ricordo mai niente, io. ho cercato su internet, ma non si capisce, non lo capisco. gli articoli che ho letto si riferiscono agli spostamenti delle oche in italia, non da qui. e poi non so che specie di oche sono queste e quindi non so nemmeno dove sono dirette e quando torneranno.
ma soprattutto nessuno mi dice quando partiranno esattamente. io non voglio che mi dicano “a febbraio”. io voglio che qualcuno mi dica il giorno preciso, così io posso salutarle, tutte, bene. quando si parte per un viaggio ci si saluta, sempre.
come si fa a sopportare una tale approssimazione? come posso stare qui a scrivere, col culo attaccato alla stufa, pensando che magari le mie oche stanno volando via, tutte?
è tutto il giorno che ci penso ed è tutto il giorno che questo pensiero mi rende rabbiosa. ho paura di tornare a casa una sera e non trovarle più, le mie oche: qualcuno mi deve dire quando se ne andranno, con precisione.
che, anche così, non si è mai preparati abbastanza alla migrazione delle oche, mai.

domenica 3 ottobre 2010

l'uomo nero

ieri notte sono andata a letto alle tre. ho chiacchierato un po’ con la vale che è venuta a trovarmi poi mi sono addormentata con il rumore della pioggia.
ad un certo punto mi sono svegliata, che ho sentito la mia bicicletta cadere. io vivo al pian terreno, in una stradina senza uscita con casette di un piano e parcheggio davanti alla porta d’ingresso: se cadono delle biciclette sento il rumore e riconosco, non so perché, quello che produce la mia.
ieri notte, dopo aver sentito la mia bici cadere, ho sentito altri rumori un po’ strani e mi è venuto il timore che stessero rubando anna, l’altra bicicletta.  allora mi sono alzata per andare a controllare.

io mi sono diretta
verso la finestra
scalza
e piano ho tirato
un angolo di tenda
da sinistra a destra
e fuori
sotto l’acqua
con la luce del lampione che lo illuminava da destra a sinistra
fuori
attaccato al vetro della MIA finestra
io ho visto un uomo,
un pezzo di uomo, il braccio sinistro
nella giacca nera
bagnata lucida.

sembrava un film dell’orrore. se avessi visto quell’uomo in faccia, probabilmente mi sarei presa un infarto, ma anche così il cuore ha cominciato a battermi all’impazzata che temevo mi sarebbe schizzato fuori dalla bocca. che non si spiega che cosa avesse da armeggiare quel tipo davanti alla mia porta, che lì non ci si ripara neanche dalla pioggia.
non mi aspettavo di vedere nessuno, non così vicino almeno, e ho avuto così tanta paura che sono rimasta letteralmente paralizzata qualche minuto. non ho svegliato la vale, non volevo metterla in agitazione. sono solo riuscita a sussurrare, non so a chi:
- mi sono spaventata tantissimo…
poi sono rimasta un po’ sveglia, guardando l’ombra dell’uomo misterioso oltre le tende. uomo misterioso che poi se n’è andato.
in tutto questo io ero preoccupata per anna, che non ero riuscita a vedere se era ancora parcheggiata davanti a casa. solo alla mattina, col sole, ho avuto il coraggio di tirare le tende e guardare: la mia bici era effettivamente caduta ed era stata rimessa in piedi, ma in un posto diverso da dove l’avevo lasciata io, mentre anna era ancora lì, tranquilla.

ecco, non è una storia divertente o interessante o di fantasia, quella che vi ho appena raccontato.
è una storia per me, che avevo bisogno di raccontare, perché è l’una di notte e io ho paura ad andare a letto, che ho paura che l’uomo nero ritorni e solo l’idea di vederne l’ombra dietro la tenda mi atterrisce.
io ho bisogno di sonni puliti, ho bisogno di respiri tranquilli, altrimenti qui le parole mi escono a singhiozzo e tutte smozzicate e a me non piace.
ho paura a guardare la tenda, ho paura ad immaginare, ho paura a chiudere gli occhi e ho tanto sonno.

uff.
che fatica.
uff.

venerdì 1 ottobre 2010

la sposa marina. seconda parte.


- questa è la storia, ascoltami bene.


lei è in un posto di mare che è tutto di sole a mezzogiorno
di cielo pulito e nuvole poche.
sta su un mirtillo grandissimo, che galleggia, per metà.
cosa ci fa un mirtillo gigante nell’acqua?
non lo so, sta lì. e lei sopra.
lei è una foca piccola
e sta su questo mirtillo a pancia in giù:
per forza, è una foca, le foche non stanno in piedi.
se fosse persona e stesse in piedi avrebbe paura
perché sotto è profondo,
da sopra si vede in profondità,
ché l’acqua è trasparente
e lei ha paura dell’acqua fonda, se la vede.
invece adesso è foca piccola e lunga
con gli occhi rotondi e neri
muso di cane
lei è tutta muso di cane
come solo le foche.

dammi un bacio di cane, dice
un bacio di cane sul muso,
ora.

poi lei entra nell’acqua piano
tutta di sprofondo come di inzuppo
va sotto solo un pochino
e poi ancora un po’.

lui da sopra il mirtillo
la guarda e la cerca
che non la vede bene e ha un po’ paura.
lei sotto l’acqua si toglie la pelle di foca
lei sotto la pelle di foca è uccellopesce
tutta di piume nere e coda doppia.
lei nuota
e lascia scie di pesciolini
bolle pesciolino.

lei dice:
se tu entri nell’acqua
-       no, non è fredda l’acqua -
se tu entri
e mangi i miei pesci
se tu entri
nella mia bocca
tutto di corpo minuscolo
dentro di me
prendi tutte le mie parole,
biglie di foglia verde.
io te le do tutte le mie parole
tutte in regalo a mani aperte te le do
ma poi tu lo sai che non puoi più andare via,

legato libero alla mia bocca
legato libero alle mie parole bottone
tu rimani in me
persempre
io rimango in te
persempre.


.

.
.


.

.
.
.


.

non lo sanno, loro
ma è già persempre.

persempre,
da quando si sono riconosciuti,
 nell’acqua.

persempre,
da quando si sono riconosciuti
di acqua.



persempre.


-       ti è piaciuta la storia?
-       insomma…
-       perché insomma?
-       perché mi hai raccontato cose del mare, cose che vedo sempre. pensavo che mi raccontassi del nido di pelliccia.
-       nel mare ci sono le parole vere, quelle per le storie perfette. per raccontare del mondo di sopra devo fare una capriola e raccontarti tutto con gli occhi delle ciglia. ma adesso non posso tornare su, lo sai: adesso devo stare qui ad aspettare.
-       sì, sì, ho capito. sai qual è la parte della storia che mi è piaciuta di più? quella del mirtillo. e sai perché? perché potevo immaginare. un mirtillo è un po’ come un nido di pelliccia, vero?
-       sì. uguale.
-       con le pinne o con le valve?
-       le valve, le valve.
-       bello, è proprio come me lo sono immaginato io…