sabato 28 maggio 2011

forse ci sono delle news

non sono scomparsa in questo periodo e non ho perso interesse ne lasaRamandra.
solo, la testa corre, ha ripreso a girare ai duemila all’ora e non le sto dietro.
quando capita è faticoso, perché non riesco a imbrigliare i pensieri, ma è anche un bene, di solito, perché sono i momenti più creativi, in cui mi vengono mille idee.
spesso sono purtroppo idee poco realistiche poiché in quei periodi mi sento piena di un’energia che presto mi abbandona, ma vabbè, si tratta solo di imparare a capire che cosa è realizzabile e cosa no:  conto di riuscire a farlo prima di quella crociera sulla luna che ho progettato per il mio quarantesimo compleanno.
questo mio altalenare continuo è il motivo per cui di solito evito di parlare troppo presto, prima di essere certa di quel che sarà: per timore di tirarmi la sfortuna addosso, per pudore di raccontare cose che ancora non sono, per non disattendere le aspettative mie e altrui.
nell’incerto c’è però tutta una spuma di eccitazione, ci sono i brividi dentro, le farfalle nella pancia tanto simili a quelle dell’innamoramento.
e quel friccicore è bello, è così vivo.
e allora perché non dirle, le cose insicure? è solo il loro esito ad essere dubbio, il loro presente è pur sempre reale, fatto di persone reali che fanno rete intorno.
persone che non legano, ma che tengono.
che fanno il nido e vegliano su uova piccole.
che hanno occhi ragazzini profondi, uguali e diversi dai miei.
persone pure.
le idee si intrecciano, si annodano, si infilano negli spazi vuoti del pensiero e infine germogliano.

quindi ora piano piano vi dico
che sto covando
insieme a un’amica uccella custode di parole
delle storie di buio, delle magie
che avranno anche dei Disegni di buio.

e da un’altra parte
lontana e vicina
a casa-milano-e-dintorni
si sta pensando di mettere in scena un mio racconto lungo:
“hanno ucciso barbapapà”, si chiama.

le mie parole a teatro
le mie parole coi disegni.

forse.

è tutto un forse: i disegni, il teatro, le storie che chissà se riesco a vederle tutte nella testa e a scriverle comprensibili.
forse però ce la faccio.
forse.
voi però non andate via, vero?

venerdì 20 maggio 2011

saspensss

a casa mia non ci si vuole mai fare preoccupare, allora se ti spacchi una gamba non telefoni subito a casa per avvertire, no, aspetti almeno di essere uscito dal pronto soccorso.
una volta uscito aspetti ancora un po’, che pensi che se mamma ti vede col gesso, le viene un infarto.
poi pensi al giro di chiamate che di norma parte subito dopo la comunicazione della notizia e a tutte le spiegazioni che dovrai dare al parentado (come hai fatto, ma quando, ma non dovevi essere al lavoro a quell’ora, no, nonna, mi hanno cambiato i turni) e aspetti. qualche giorno.
uno di quei giorni però succede che mamma ti viene a trovare a casa a sorpresa e tu l’accogli con le stampelle e a quel punto lei si incazza e quando mamma si incazza (succede una volta ogni dieci anni, un po’ meno se ti viene un brufolo e non metti i manifesti) diventa peggio dell’idra di lerna.
mia mamma si incazza se non le dici le cose, però poi lei è quella peggio di tutti noi: lei non ti dice niente, mai.

ieri notte mia mamma mi scrive una e-mail in cui mi chiede come sto e mi racconta che ha visto un libro per bambini che le ha ricordato il mio libro preferito di quando ero piccola, il bruco raimondo, e allora mi ha pensato. mi ha detto che era dispiaciuta di aver dato a mia cugina tantissimi anni fa quel libro visto che poi lei me lo aveva fatto a pezzi e allora si è informata e il bruco raimondo è del settantasei, magari da qualche parte lo si trova ancora, se lo trovo te lo compro.
va bene, mamma. anche se di anni adesso ne ho trentatrè, va bene. so cosa sono i sensi di colpa, sono la regina dei sensi di colpa: vai e cerca il bruco raimondo, se ti fa stare meglio, penso.
epperò invece poi le chiedo semplicemente il perché di tutte queste ansie e malinconie e lei stamattina mi risponde, ma no, niente, cose così…e poi sai, oggi non sarà una giornata tanto leggera, oggi ci dicono se licenziano o mettono in cassa integrazione.
oggicidiconoselicenzianoomettonoincassaintegrazione.
così me lo scrive, liscia.
chissà da quanto lo sapeva, che oggi non sarebbe stata una giornata tanto leggera, però non mi ha detto niente, per non farmi preoccupare.
alle dieci le mando un sms: hai saputo qualcosa?
risposta: ancora nulla.
gli piace, a quelli della ditta di mia madre, creare la suspance.
mica che hanno detto: alle undici vi diremo chi da domani è senza lavoro. o alle dodici o all'una o alle quattro. no: gli hanno detto semplicemente “domani”, che uno così fa tempo a morire migliaia di volte.

io lo so come ha fatto oggi mia madre, che lei è la regina dell’Ansie Molteplici e Riunite. 
mia mamma stanotte non ha dormito, per questo mi ha scritto tardissimo, poi stamattina si è fatta la doccia, ha bevuto il caffè e ha cercato di nasconodere le occhiaie con un po’ più di fondotinta. non ha fatto in tempo a comprare la repubblica da maxia, ma maxia gleila terrà per la sera, per quando torna. poi è andata a prendere la macchina e le tremavano le mani e uscendo dal parcheggio le hanno suonato e lei si sarà spaventata che mia mamma si spaventa per tutti i rumori, poi con lo sguardo di animale selvatico è andata al lavoro, come tutti i giorni, ma più agitata e selvatica degli altri giorni.
ha iniziato ad aspettare e ha continuato a farlo per ore.
gli piace, a quelli della ditta di mia madre, creare la suspace.
mesi fa, avevano minacciato i licenziamenti a muzzo e tutti hanno gridato: ohhhh! nooo!
e allora, ta-dan! facciamo il patto di solidarietà: rimaniamo tutti, anche chi non fa un cazzo e lo stipendio lo sbafa da mò e andava licenziato il secolo scorso, rimaniamo tutti, lavoriamo meno ma tutti.
a ‘sto giro, che è primavera, i capoccia hanno pensato di fare un send-away anziché un give away: licenziamenti o cassaintegrazione.
licenziamenti o cassaintegrazione?
non è dato di sapere, che la suspance, l’abbiamo detto, a loro ci piace.

nel frattempo la gente mormora. mandano via lui, lei no di sicuro, lei per forza, lui tanto ci ha la moglie architetto che fa un sacco di soldi e chissenefrega se rimane a casa.
nel frattempo si mangiano le unghie, le pellicine fino a farsi sanguinare le dita, si pensa al mutuo, ai bambini che vanno a scuola, alla macchina.
si pensa all’altra che come cazzo ce la porto a cortina, si pensa al nido che come lo pago a mattia il secondo anno, si pensa a jana che mi tocca licenziarla e adesso chi me le stirerà le camicie diobono, che mia madre è artritica.
c’è chi ma io me ne sbatto, meglio, me ne sto a casa, prendo i soldi e mi trovo un lavoro in nero, faccio i capelli, faccio le cerette a casa che sono brava.
c’è chi io mi ammazzo, c’è chi io lo ammazzo, c’è chi io li ammazzo tutti e poi mi ammazzo io, anzi no, vaffanculo, io dopo scappo in messico.

a noi ci piace la suspence.

1 sms ricevuto
da: mamma
ore: 13.12
testo: "fioccano lettere. sul mio piano: restiamo in pochi. per il momento non sono ancora stata nominata".

non. ancora.
gli piace proprio, a quelli della ditta di mia madre, creare la suspace.

martedì 10 maggio 2011

l'agro dolcino

oggi ho scritto di una cosa che ho visto stamattina.
mentre la scrivevo pensavo di postarla qui, poi invece, siccome in quella cosa ho parlato molto degli olandesi, ho deciso di metterla sull'altro mio blog, quello di amsterdam, sul sito di zingarate.com.
però poi boh, mi è rimasto un senso di insoddisfazione, di incompletezza, come quando hai voglia di un dolcino a fine pasto ma in casa non hai niente e ti sembra che tutta la cena sia priva di senso, senza quel dolcino.

ecco, è un po' come se mi fosse andato di traverso l'ultimo boccone, a non sapere se ho messo quel racconto nel posto giusto, che forse casa sua era qui e non là.

vabè, ve lo linko e bona lì.


sabato 7 maggio 2011

semplicemente stare

alla gelateria dove lavoro ci sono i clienti abituali, come dal panettiere, dal fruttivendolo, dal salumiere.
io me li ricordo i clienti abituali, anche se in questa gelateria ci ho lavorato due stagioni fa e non l’anno scorso. li riconosco quando entrano e molto spesso ricordo anche quali sono i loro gusti preferiti. mentre sono lì che mi dicono coppetta o cono, piccolo o medio, io me ne esco con “stracciatella, melone e nocciola” e loro rimangono basiti e mi chiedono come faccio a indovinare quello che vogliono ordinare, pensano che io abbia i poteri magici. sorrido, perché loro non si ricordano di me, ma io di loro sì.
tra i clienti abituali ci sono quelli a cui mi sono affezionata e quelli che sbologno alle colleghe appena posso. 
tra gli sbolognati due estati fa c’era il vecchio che si asciugava con la mano il moccico perennemente colante e poi pescava il cucchiaino dal mucchio anche se gliene mettevi dodici nella coppetta e la signora che ordinava sempre otto coni da portare via (ovviamente con panna, zuccherini, granella di nocciole e fuochi d’artificio inclusi).
poi c’era il signore col testone insieme ai tre figli coi testoni.
io odiavo i bambini testoni che arrivavano, urlavano, lanciavano il pallone per il negozio, leccavano la vetrina, toccavano i coni.
ma più di tutti odiavo il padre testone che non diceva loro niente.
soprattutto, l’ho odiato la sera in cui si è dimenticato all’ora della chiusura il figlio più piccolo in negozio.
un bambino di quattro o cinque anni. se l’è scordato.
l’abbiamo tenuto, io e la mia collega, su una sediolina, ad aspettare.
gli dicevamo “adesso vedrai che torna, il papà”, ma in realtà non eravamo mica sicure.
soprattutto dopo quaranta minuti.
il bambino testone stava in silenzio e guardava fuori, nel buio. tormentava le dita sottili del suo tirannosauro di gomma, muto.
“dove abiti? lo sai il tuo numero di telefono?”, gli chiedevamo. ma lui non rispondeva.
alla fine l’abbiamo portato fuori e gli abbiamo domandato se conosceva la strada di casa. la conosceva e la mia collega l’ha accompagnato fino al portone. il padre era in casa, con gli altri figli e la compagna: stavano guardando la tv.  hanno ringraziato la mia collega, sorpresi, come se avesse riportato loro un panno caduto nel suo giardino dal loro stendibiancheria.
quel bambino è rimasto in gelateria un’ora da solo. un’ora da dimenticati a quell’età è un tempo infinito che non ti permette rabbia ma solo angoscia e terrore.
io odiavo il padre testone e non sopportavo il fratello di mezzo che quando arrivava faceva più confusione di una scolaresca in gita. strafatta di cocaina.
non era tanto a posto quel bambino, mi sa. iperattivo forse, sofferente di sicuro. difficilmente gestibile certamente.
epperò io facevo la commessa, io dovevo riempire i cestini di coni, gli scaffali di coppette, fare palline di gelato, stop.
io facevo la commessa e non più l’educatrice, quindi: sticazzi, quel bambino mi dava fastidio.

adesso ho ripreso a lavorare in gelateria e sono tornati tutti i testoni, tranne il più grande.
il fratello dimenticato è un fiore, tutto solare e affettuoso con quello di mezzo.
quello di mezzo è…è un fratello testone e basta.
non fa schiamazzi, non dice parolacce.
non lancia il pallone contro il muro.
cammina e non corre.
sa ordinare il gelato da solo senza tirare cazzotti alla vetrina.
è curioso, ogni volta chiede di provare un cucchiaino di un gusto diverso.
è quello che si definisce un bambino “adeguato”.
però quel bambino testone adesso è solo un testone.
del bambino io non ci vedo più niente.

prima mi cercava con lo sguardo, nella sua confusione. voleva sempre ordinare a me il gelato. forse perché nonostante tutto avevo la pazienza di ascoltarlo anche quando non riusciva a scegliere e sbatteva la testa contro il vetro del banco frigo.
o forse, boh, non lo so.
so però che mi guardava, dentro gli occhi, nel fondo.

io adesso, quando entra, ogni volta vedo un bambino di cartone, uno zombie.
mi fissa con due occhi che mi trapassano, due occhi che ci vedi dentro solo il marrone e basta.
due occhi di drogato stanco.
sono occhi che non gridano più e che non sputano
sono occhi che non stanno bene o male
sono occhi che
semplicemente
stanno.


io voglio fare la commessa, io voglio riempire i cestini di coni, gli scaffali di coppette e fare palline di gelato, io voglio non pensare a niente.

mercoledì 4 maggio 2011

per farli dormire

mangia, rossana, mangia…brava coniglia, brava.
rossana è la coniglia più cicciona di tutti i conigli della zia candina, è più cicciona anche del grigio, anche se mio fratello dice che no, che il grigio è più grosso. ma mio fratello non capisce niente, è piccolo. e poi è cecato, infatti tutti lo chiamano puffo quattrocchi perché porta gli occhiali ed è pure basso. meno male che io sono grande e non ci ho gli occhiali. sì, vabè, porto l’apparecchio, ma quello è temporale…cioè, voglio dire, poi lo tolgo, quando avrò i denti dritti. a mio fratello gli occhiali mica gli aggiustano gli occhi, anzi.
guarda come è bella cicciona, la rossana. a me piace il codino della rossana, che è rosso rosso e sotto è un pochino bianco. è per il codino che l’abbiamo chiamata rossana.
guarda, vieni qui vicino, infila un dito nella gabbia. no, non ti morde, è brava, la rossana, si fa accarezzare tutto il morbido.
abitiamo lì, su in cima al curvone, dove finisce il campo di franco. come non sai chi è franco? vabè, non importa. lo sai il curvone? la sai la vigna, quella che finisce al curvone? ecco, dopo la vigna, c’è la nostra casa, cioè la casa dei bisnonni.
i bisononni non ci sono più a dir la verità, siamo qui con la nonna.
sì, la bisnonna l’ho conosciuta, il bisnonno no.
sì, so anche cosa facevano: la mia bisnonna faceva la cuoca a milano per dei conti che è come dire dei principi ma un po’ meno di lusso e il mio bisnonno invece faceva il maggiordomo. a lui piaceva il re e ha votato per la monarchia, dice mia nonna, mentre la mia bisnonna…a lei non lo so se le piaceva il re, lei faceva i tuffi ad alassio quando c’era il sole.
no, no, non aprire la gabbia, la zia non vuole: se le facciamo scappare i conigli poi ci tira gli zoccoli. è affezionata, la zia, ai suoi conigli.
no, noi non viviamo qui, siamo qui per le vacanze, siamo di milano, noi.
no, qui non mi piacerebbe vivere: c’è solo una televisione piccola, i canali si vedono male e non si prende neanche italia uno e così non possiamo neanche vedere i cartoni al pomeriggio.
eh, sì, lo so, però che pizza! tutti che mi dicono che devo stare fuori a giocare invece di guardare la tivù. ma io mi stufo anche, eh! facciamo sempre le stesse cose: dar da mangiare ai conigli, alle galline…andare a cercare le fragoline di bosco, raccogliere le amarene…che poi a me fanno anche schifo le amarene, sembrano ciliegie andate a male.
ecco, guarda! quello è il grigio! ma ti pare che è più grosso della rossana? no, vero? vedi che mio fratello è cecato? vabbè, poverino, è piccolo…
sì, ce li ho gli amici qui. si chiamano simone e giuseppe. ogni tanto però litighiamo. tipo ieri. ci hanno frustato nelle gambe coi rami di salice, a me e mio fratello. io non ho pianto, lui sì invece, ma lui non capisce niente, è piccolo. e ci ha pure gli occhiali. così gliene hanno date ancora di più. gli dicevano “al galoppo, puffo quattrocchi, al galoppo!”. e mio fratello giù a correre e frignare.
però dopo sono venuti a chiederci i giornalini e la macchinina telecomandata, quindi vuol dire che siamo di nuovo amici.
tieni, dalle questa alla rossana, dalle la foglia del soffione, che le piace.
no, loro non ce li hanno i giochi come i nostri, loro hanno i giochi di qui, cioè, se li fanno. eh, giochi tipo la fionda o altri giochi da farsi male. a noi nostra mamma non ci fa giocare con quei giochi. allora io l’altro giorno ho rubato la fionda a simone mentre era nel campo che tagliavano l’erba, gliel’ho rubata e poi con mio fratello siamo andati nel fienile e abbiamo giocato a tirarci i sassi. guarda, guarda: con una pietra gli ho anche fatto un taglio piccolo nella testa! è anche uscito un po’ di sangue, ma poi io ci ho sputato sopra e ci ho messo un fazzoletto e ha fatto la crosta e mia nonna non si è accorta di niente. forte, eh?
ehi, ciao, ercole! vedi? quello è ercole e quello è lo zio dino, sono il figlio e il marito della zia candina. loro sì che vivono qui, infatti si vestono da poveri. no, non è che sono poveri, ma si vestono da poveri, come tutti qui in montagna. sono sempre sporchi, coi buchi nei pantaloni. e poi puzzano. guarda, stanno andando sul letamaio. ci credo che poi puzzano.

ciao ercole.

mh.

oh, guarda, portano a spasso i conigli, per le orecchie.

perché li liberano?

perché gli danno una botta sul collo?

dice: “per farli dormire”.

anche la rossana.

e poi con la roncola a fare riiiiiiiiiiiip per tutta la pancia e tutte le budella e gli intestini viola e grigi a scivolare sullo sterco di vacca e poi riiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip di nuovo e via la pelle, via nello sterco di vacca tutto il pelo morbido e soffice e via ancora, riiiiiiiiiiiiiiiiiiip, ancora le interiora a scivolare sul letame caldo e la paglia e riiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip un’altra volta via la pelliccia a schiantarsi molle come un budino sopra un cuscino.

pure il grigio

pure la rossana cicciona.


è diventata tutta di sotto-pelle la rossana, le si vedono gli occhi morti di dentro: non ha più gli occhi da coniglio, ha delle palline morte senza contorno al posto degli occhi.
sembra quando fanno vedere i bambini appena nati alla tivù, solo che lei non è viva, è morta.


mio fratello suda e poi vomita, è piccolo.
vomita il pane e marmellata e l’uovo che abbiamo mangiato a colazione. si vede tutto mischiato sull’erba verde, ché lui non mastica mai bene e la mamma lo sgrida sempre.
io sono grande però vomito anche io. però non si capisce cosa ho vomitato perché io mastico bene,  infatti ho pure l’apparecchio.

vomito e un po’ piango, ma dentro.


la zia candina si arrabbierà molto, lei ci tiene ai suoi conigli.