mercoledì 21 marzo 2012

dimmi una parola. #4 "nido"


                                                            a Elia, che sa vegliare le parole



Il nido fammi intorno, tu, animale femmina
ch’io possa figliare le mie parole brune
e quelle acquatiche
e quelle delle rondini in svolo, quieta
- la porta del sole serrata
e quella del vento
e delle voci umane tutte, chiuse.
Intrecciamo nidi maestosi
facciamone foreste, altari,
case calde e gialline
ventri piccoli e sodi
da starci dentro annodati.
Poi coprimi, le tue ali grandi 
infinitamente azzurrine,
chiudimi gli occhi
proteggimi
pazienta le mie parole, tu
animale femmina,
tu, sorella mia di cova.


***

La parola "nido" è stata poeticamente offerta da Elia.
Se vuoi anche tu una storia breve, scrivimi la tua parola via email (lasaramandra@gmail.com) o nei commenti qui sotto. 
Ti avviserò quando sarà pronta.

mercoledì 14 marzo 2012

dimmi una parola. #3 "verità"

“Verità! Devi scegliere "verità" ogni tanto!”.
Antonio Puglisi a “obbligo e verità” sceglieva sempre “obbligo”. 
“Perché non scegli mai “verità”, Anto’? Guardati! Ti stai a fare delle figure di merda totali, con questi obblighi, ti stanno a sfottere tutti. E a me pure, mi sfottono, ché sto con te”. 
Alfredo Peluso si agita. Mentre parla, il sudore dalla testa gli cala righe marroni sulle guance e gocce di saliva gli zampillano dalla bocca. 
“Ma tu nel cervello sei tutto marcito o cosa? Un obbligo è solo un obbligo, è una cosa da fare e basta. Non sei tu. Una verità è una cosa tua. Io le cose mie non le condivido per gioco, io manco il pallone ci condivido con quegli scarti di ringhiera”.
“Mado’, Anto’, sei proprio un antico! Puoi anche dire una bugia a “verità”, chi minchia vuoi che se ne accorga? Che poi pure tu abiti alla ringhiera...”.
Non gira neanche la testa, Antonio Puglisi. Gli basta un movimento lento degli occhi, come una frustata di ortiche a rallentatore, e l’amico s'azzitta. Alfredo Peluso abbassa lo sguardo su una crosta del gomito e inizia con l'unghia nera dell'indice un lavoro meticoloso e silente di asportazione.
“Ce l’hai una cinquecento lire? Passiamo al bar Natale a prenderci un estathè?”.
“Anto’, non vorrei dire, ma sei senza mutande e senza pantaloni…”.
“E mi presti la tua, di mutanda: tanto fa caldo, faccio tipo costume…”
“…”
“Oh! Alfre’! Allora?”.
“…però la prossima volta scegli verità…”.

***

La parola di oggi, "verità", ci è stata gentilmente offerta dalla Vale.
Attenzione! Il bar Natale ha chiuso circa nove anni fa: se avete voglia di estathè, non cercatelo lì.

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Ti avviserò quando sarà pronta.

lunedì 12 marzo 2012

dimmi una parola. #2 "farina"


Farina.
Tra poco arriverai, vicina marocchina con le occhiaie, a chiedermene una tazza, l’ennesima. Cosa ci farai mai, con tutta quella farina, solo il tuo dio marocchino lo sa. Forse gestisci una panetteria abusiva; forse stai facendo - a mie spese -rifornimenti per il tuo segretissimo bunker antinucleare; forse ci sforni mobili. Ti immagino impastare in tinello, circondata da tavolini di pane e cuscini di pane e sedioline piccole, anch’esse di pane. Forse anche i tuoi figli sono fatti di pane.
Sempre mi suoni per una tazza di farina e io ti aspetto.
Ieri pure sei passata e io già la tenevo pronta e preparata, la tua scodella di farina, sul tavolino all’ingresso, sopra la bollette da pagare: tu hai suonato, io, senza neanche domandare chi fosse, ho aperto –tanto lo sapevo che eri tu, che arrivi sempre dopo Uomini e donne, tu-, ti ho mollato la tazza in mano e tanti saluti. Anzi, nessun saluto, per una volta.
Perché tu, quando vieni a chiedermi quel pugno di farina, tu parli, vicina marocchina. Tantissimo parli.
E io non ho voglia di ascoltare dei tuoi Omar, delle varicelle, della diarrea di Saïd, dell’assistente sociale che non ti dà la casa comunale, di Mamoud che ha sempre la febbre e chissà come mai. Che vuoi che ne sappia io, della febbre di Mamoud: non sono mica un pediatra. E non lo so dove si comprano le babbucce in cuoio a buon mercato, è inutile che tu me lo chieda. 
Che poi mi irriti indicibilmente col tuo francese da colonizzata che esce sgangherato dalla tua bocca fina impregnata di aglio e menta e penso che potresti almeno lavarti i denti anziché mangiare le ciungomme, vicina marocchina: sbaglieresti comunque i congiuntivi ma almeno non dovrei voltare il capo mentre fingo di ascoltarti.

domenica 11 marzo 2012

dimmi una parola. #1 "compagna"


“Compagna, sono il Compagno Adriano. Conosci il servizio di Doporicerca del Lavoro per i Compagni e le Compagne in cerca di un Impiego rispettoso delle proprie Inclinazioni Creative e dei Personali Ritmi Biologici alla Panetteria Occupata? Sei al corrente del nostro servizio di Doposcuola Inclusivo rivolto a tutti i figli albini dei Compagni e delle Compagne del quartiere? Noi del Nuovo Movimento Marmista-Elettricista all’Assalto riteniamo che l’integrazione delle minoranze, in un mondo sconvolto dalla globalizzazione, necessiti di iniziative come questa. Tu che ne pensi? Perché non vieni a discuterne al laboratorio Trans-azioni? Parleremo anche di come intraprendere un percorso di scoperta e riscoperta della propria e altrui vagina…”.
Sono le otto e dodici di domenica mattina. Da ormai quindici minuti, il Compagno Adriano fa inciampare le sue erre in gola, attraverso lo spioncino, gli occhiali spessi e neri, la barba rossa. Il portone devono averglielo aperto i cinesi del terzo piano: quelli aprono sempre a tutti, che dio li fulmini. La voce gli esce da un completo di velluto color salvia, coste larghe e immancabili toppe. Il termometro segna ventisette gradi. Provo nei suoi confronti un misto di repulsione e di attrazione oscura, quella riservata agli incidenti d’auto e alle malformazioni in genere. 
Sono spalmata alla porta, in mutande. Mi giro verso di te, inarco un sopracciglio.

Ecco, lo vedi? E’ per via di tutti gli Adriano e le Adriana del Movimento Marmista-Elettricista stazionanti sul mio pianerottolo la domenica mattina che io mai ti definirò compagno
Adesso mi capisci, amoremio?

***

La parola "compagna" è stata gentilmente offerta da Luca.
Nessun Compagno è stato maltrattato per la realizzazione di questo post.
Se vuoi anche tu una storia breve, scrivimi la tua parola via email (lasaramandra@gmail.com) o nei commenti qui sotto. 
Ti avviserò quando sarà pronta.


sabato 10 marzo 2012

esperimenti

A giocare a iBiglietti mi sono divertita.
Ed era un po' che non mi divertivo, a scrivere.
Allora mi sono detta: perché non ci riprovi, a scrivere qualcosa con lo stesso metodo? Perché non provi di nuovo a scrivere cosine corte, con parole di altri?
E mi son risposta ok, proviamo, facciamo un po' di esercizio.
Però ho bisogno del vostro aiuto.
Ognuno di voi mi dovrà suggerire una parola e quella sarà l'incipit di una storia/poesia/cosadiparolenonbenidentificata.
Mille caratteri o giù di lì.
Potete scrivere la vostra parola nei commenti qui sotto o su facebook, o inviandomi un' email a lasaramandra@gmail.com.
Le prime dieci parole avranno una storia assicurata.

Poi vediamo se continuo a divertirmi :)


iBiglietti


Ho partecipato a un gioco che si chiama iBiglietti. 
Ogni partecipante deve scrivere una storia piccola mille caratteri, iniziando con l'ultima parola del biglietto che lo precede.

La mia parola era "piangere" e ho scritto questo. 

Se volete giocare anche voi, dovete leggere qui.

giovedì 1 marzo 2012

AnnA e Marco

Avevamo un’Alfetta blu, avevamo l’autoradio, avevo un pugno di anni ma mi sentivo grande e bellissima, seduta davanti, mio padre che guidava e cantava sottovoce.
Il ricordo è del freddo del vetro del finestrino sulla mia fronte, il buio di fuori, filari di lampioni che corrono sulla statale tra le montagne, odore di Merit, un poco di nausea 
e le parole di questa canzone 
che mi facevano vedere tutto, 
che mi fanno vedere ancora oggi tutto, 
come allora.