martedì 31 agosto 2010

dFAM 14 aRRRivedeRRRci mousse


la scena è di ieri, ma la racconto come se fosse successa oggi che fa più presa diretta. insomma la scena sono io che rientro che sono tutta di lacrime e di pioggia (e fin qui è piuttosto banale, sa di già visto e comincia pure un po’ ad annoiare, che lo so che vi ho triturato i maroni con ‘sta tristezza, ma son mica wonderwoman che ci ho da raccontare chissà che, quindi: zitti). insomma io entro in casa e mi ha preso proprio male stasera, roba che piango che sembro il gatto ettore della mia amica mirna che quando gli fai fare i viaggi in macchina fa tutto un meawwwww  come rantolo primitivo di bestia delle caverne e sembra lì lì per esplodere, ‘sto gatto. in realtà sono stata bene tutto il giorno e quindi non mi spiego il perché di ‘sto piagnisteo penoso, di tutto ‘sto smoccolamento e singhiozzare che, se mi vedesse mia nonna, mi direbbe una roba che suona tipo: “se ‘n te la desmet miga, te do du papine, che al mee el so perché t’al frignet” che, tradotto in lingua comprensibile ai più, diventa: “se non la smetti, ti tiro due sventole, così almeno so perché piangi” (dalle parti di mia nonna sono gente che gliel’hanno scritta loro a Paul Watzlawick la pragmatica della comunicazione umana).
è che mi era venuto in mente un ricordo piccolo piccolo, quasi insignificante, roba stronza però, uno di quei ricordini a uncinetto, quei ricordini con l’artiglio che s’aggrappano al vicino ricordino, che ci ha l’unghietta ricurva pure lui che si attacca all’altro vicino e tu, che li avevi tutti chiusi in una valigia di quelle che avevi ficcato ben in alto sull’armadio, quelle che ti dimentichi cosa c’è dentro, tu fai per sfilare lo stuoino da mare da sotto la famigerata valigia dell’oblio e… sbadabam! ti si rovescia tutto addosso. rivedi tutto come alla moviola, ma tutto tutto, anche quello che non pensavi di aver registrato. ti ricordi le linee delle mani e la luce di traverso sui capelli e il sudore sulla schiena e quel movimento del labbro superiore e la circonferenza precisa del polso e il tuo indice tra le dita e i nei sul collo e tutte le vertebre una per una e, e, e…e come il gatto ettore non puoi far altro che vomitare e vomitare tanto e vomitare tutto (e ringrazia, perché il gatto ettore va anche in merda che te lo raccomando, va proprio in sciolta ettore, che una volta io e mirna ci siamo dovute fermare sulla corsia di emergenza che ‘sto gatto si era tutto cacato e dovevamo pulirlo e mirna è scesa col giubbetto catarifrangente, che avevano appena fatto la legge che era obbligatorio scendere col giubbettino luminoso e così, visto che ne avevamo uno solo e noi siamo ligie al dovere, io sono dovuta rimanere dentro ed è un miracolo se sono sopravvissuta all’odore che a pensarci dovrei smettere subito di piangere e cantare lodi al signoredionnipotente da qui all’eternità). insomma, ho preso a vomitare tutta la mousse ai tre cioccolati (fondente, latte e rhum) che mi ero mangiata alla fine del turno di cucina al ristorante e  mi sono girati pure i coglioni, che di ‘sta mousse ne avevo fatta dei litri e a montare tutto a mano mi si era pure paralizzato il braccio.
quindi, esco dal bagno sconvolta - ma in fondo un po’ rasserenata al pensiero che non sono andata in merda come ettore- e mi accorgo solo in quel momento di ivano che se ne sta seduto con la testa appoggiata sul tavolo.
- che succede? chiedo al mio iguano.
- secondo te? mi risponde indicandomi con un cenno del capo la cassapanca.
la stanza è ancora buia dato che, per la fretta di raggiuncere il wc, non ho fatto in tempo a fare tutta la menata di inserire la spina del neon nella presa sopra il letto. è scuro, ma non ho il minimo dubbio: la figurina evanescente sulla cassapanca è di sicuro aRRRigo, il nano-bambino.
passo indietro (e mò faccio proprio come nei film, faccio il flash back): finito il festival di balla coi cinghiali, il Coso qui, il nano, ci aveva bello che rotto i coglioni, che non faceva altro che fissarci storto e dirci che saremmo bruciati all’inferno senza manco un tubetto di foille per le scottature più gravi e che prima che le nostre carni venissero straziate dalla fiamme riempiendoci di bolle e di pus, saremmo diventati ciechi (questo lo diceva soprattutto a ivano, io sono più discreta quando faccio certe cose, cose di peccato mortale, secondo il nano lì). morale, di ritorno sull’autostrada ce lo siamo dimenticato all’autogrill (e in quel momento ho capito come sia potuto accadere che un amico immaginante si sia  scordato in giro per un festival il suo amico - o Lamico- Immaginato). e non abbiamo avuto nemmeno tantissimi sensi di colpa che quell’autogrill era pure invaso da ciellini in gita al santuario della madonna delle ossa e alla fine abbiamo pensato che il Coso si sarebbe trovato meglio con loro che con noi.
allora, il fatto è che noi l’abbiamo mollato, cioè, perso, all’autogrill del turchino, dopo spotorno. io vivo ad amsterdam. come cazzo ha fatto ad arrivare qui, ‘sto nano? e perché poi? è dotato di teletrasporto? di volontà propria? lo hanno spedito qui i ciellini? il suo immaginatore?
- voglio RRRestaRRRe con voi, RRRagazzi. peRRR favoRRRe, ceRRRco solo un po’ di tRRRasgRRRessione.
il nano m’ imploRRRa con gli occhi cerchiati di nero, ivano alza la testa, fulmina me e lui con uno sguardo di fava che prende in un colpo due piccioni, io corro nuovamente al cesso a vomitare con in testa una sola domanda che ha spazzato via tutte le altre: ma come cazzo me lo pagherà, questo, l’affitto?

domenica 29 agosto 2010

oca oche occhi

l'altro ieri al ristorante dove lavoro è arrivata una nuova collega. ha gli occhi tondi come due oblò sul mare e la bocca bella coi denti che sembrano perline tutte luminose. è giovane, parla un niente di inglese ma molto dialetto bresciano e si rivolge al lavapiatti ganese dicendogli "grande, vecio!".
mi racconta di quando ha conosciuto il suo ragazzotravirgolette (non pare avere un nome proprio, 'sto ragazzo), di quanto fosse bello e, sara, hai presente quando ti dici io non arriverò mai a lui? sì, monica, ho presente. ecco, io lo guardavo e pensavo così e poi lui si è innamorato di me. prima però siamo diventati amici.
mi spiega, monica, che le sigarette costano di più qui che in italia, mi chiede che prefisso bisogna fare per chiamare la mamma, mi confida che la casa in cui vive è sporca e, prima di finire il turno, le viene un po' il magone mentre mi parla: è stanchissima.
le do il mio numero di cellulare e le dico di chiamarmi se ha un attacco di tristezza nottetempo, la invito anche a dormire da me e mi offro di aiutarla a fare le pulizie lunedì, quando siamo chiusi. no, no, dice, non importa.
il giorno dopo torna tutta pimpante, accetta l'offerta pulizie e alla sera torniamo a casa in bici insieme, cioè io pedalo e lei si fa portare dietro che una bici ancora non ce l'ha.
la lascio davanti al portone e poi ciao ciao ci vediamo domani, che bello che abitiamo vicine.
poi faccio per tornare a casa, svolto sul canale con la bici e i miei occhi registrano
una cosa
che mi fa venire un magone
ma profondissimo
direi un pianto
che quando scendono le lacrime non è già più solo magone.
io svolto sul canale e ci sono sette piccoli di oca e due adulti
che dormono in fila
con la testa sotto l'ala destra dormono
e un'oca
grande
sola
che veglia tutti
e li protegge
e sta sveglia
che niente deve succedere alle oche piccole e alle altre.
mi fermo per scattare una foto
mi fermo piano
e l'oca sveglia mi guarda
tutta la responsabilità ha quest'oca
se mi avvicino troppo sveglierà tutti
l'oca è come un cane da guardia
è intelligente, l'oca.
mi avvicino
ma non troppo
non voglio spaventare l'oca che ha tutta la responsabilità
è responsabile del sonno di tutti quest'oca.
faccio la foto
e intanto piango
come adesso piango
e non so perché
ma a me questa cosa dell'oca che veglia
e protegge tutti
quest'oca che ha solo la voce per difendersi
mi spezza qualcosa dentro che mi apre i rubinetti di lacrime e muco.

comunque a me mi piace tanto questa nuova collega, che mi sembra di essere tornata un po' in comunità con le mie ragazzine, a far la zia, a far cose di cura.
cose come quelle che fa l'oca, forse, cose tutte di forza e fragilità.

sabato 28 agosto 2010

dFAM 13


questa storia non è semplicissima da raccontare. innanzitutto bisogna fare un passo indietro, tipo come nei film quando il protagonista vuole parlare di quando era piccolo e allora deve ricordare e allora c’è il flash back.
tutto inizia durante le vacanze, a bardineto, durante il famoso festival di balla coi cinghiali.
torno a casa piuttosto brilla, ci sono due lune (entrambe piuttosto piene) e un cielo piuttosto luminoso. arrivo davanti al portone e trovo ivano –l’iguano che mi segue da mesi ormai- con una faccia disfatta. vedo tanti piccoli omini e mostricini vicino a lui ma non mi pongo domande, do la colpa all’alcol e penso che domani saranno tutti spariti e a me non resterà che un rassicurante mal di testa da post-sbronza olimpionica. uno di questi però si stacca dal gruppo di figurine sedute una accanto all’altra sui gradini dell’ingresso e segue ivano venendomi incontro.
- alla fine hai fatto di testa tua e sei venuto qui, dico a ivano con tono scocciato.
- non ora, sara. non ora.
ivano non mi chiama quasi mai per nome. quando lo fa, significa che la faccenda è seria.
- cos’è quel coso che ti sta attaccato alla coda?
- lasciamo perdere…
- è un tuo amico.?
- ma ti pare? potrei mai essere amico di un…coso con dei capelli così?
- non voglio sapere che cosa sei per me, allora. insomma, cos’è quell’affare?
- l’ho trovato agli oggetti smarriti. ero andato a chiedere se avevano trovato il mio vibratore anale, lo avevo lasciato nella tenda, sono sicuro. poi però ieri notte ho socializzato coi vicini e devono avermelo perso…
- basta così, risparmiami i dettagli, ti prego. non ho capito cos’è ‘sto coso.
- che coso? il vibratore anale? certo che sei proprio old, baby…
ma cosa ho fatto di male?
- intendevo che cosa è quell’essere che ti porti appresso.
- ah, lui, Coso. è Lamico Immaginario. o almeno questo è quello che dice di essere, quando si degna di parlare.
- quindi è amico tuo.
- no, è un lamico e basta.
- un lamico? amico, vorrai dire…elle, apostrofo, amico.
- io ho capito Lamico tuttoattaccato. e poi non è amico mio, mica me lo sono immaginato io, ‘sto coso. sono di immaginazione raffinata, io. ti pare che, se mi invento un amico, me lo invento di proporzioni così disarmoniche?
- e che cazzo sarebbe, secondo te, un Lamico?
- l’idea platonica di amico? la versione beta dell’ amico con la A maiuscola? teoricamente potrebbe essere.
- teoricamente. in pratica invece?
- in pratica è questo nano qui con ‘sto testone quadrato che non beve e non fuma. parla un niente e quando lo fa, cita la bibbia o blatera di robe di peccato. e ha la erre moscia, santiddio, la erre moscia. proprio un bel Lamico del cazzo.
- non nominaRRRe il nome di dio invano, ivano, bofonchia il coso.
ci giriamo entrambi. il coso adesso è esattamente sotto il fascio di luce del lampione e riesco a vederlo chiaramente.
- hai sentito che voce? quel nano è un figlio di satana, te lo dico io.
- ivano, guarda che quel nano non è un nano, è un bambino.
- ah. adesso mi spiego la reticenza nel parlare di troie. beh, comunque è inquietante come un nano.
in effetti il nano-bambino un po’ inquietante lo è. pelle color intonaco, occhi cerchiati di viola come se non dormisse da secoli e capelli carota con un ciuffo tirato sapientemente da sinistra a destra.
mi chiedo quale mente depressa abbia potuto partorire una così triste idea di amico immaginario. cioè, se ti inventi un amico, almeno inventalo per divertirti un po’. se il suo amico immaginante si divertiva con ‘sto coso, mi sa che doveva avere una vita ben infelice.
- come ti chiami…bel…coso?
- aRRRRRigo.
- mmm…che bambino foRRRtunato…

(continua)

venerdì 27 agosto 2010

dFAM 12 o dimentichiamoci l'imprevisto

io e ivano abbiamo un problema, ma per raccontarvi tutto dovrei fare un passo indietro lunghissimo e prendere la rincorsa e al momento sono così stanca che potrebbe scendermi l'ernia anche solo sbadigliando.
il problema non è di relazione tra me e l'iguano, si tratta di un imprevisto che ci è capitato, un imprevisto alto poco più del mio tavolo.
io, se adesso ci penso, mi vien la gastrite e visto che sono appena andata in farmacia e ho dimenticato di comprare il maalox allora è meglio se non ci penso a questo imprevisto nano.
adesso mi stendo con ivano sul piumone, ci coccoliamo un po', solo carezze di muso, a pancia in su io e in giù lui. ci beviamo qualcosa tipo una cassa di chinotto aspirandolo con la cannuccia dal naso che così forse l'anidride carbonica contenuta ci soffoca il cervello e ci dimentichiamo dell'imprevisto.
l'imprevisto.
io odio gli imprevisti. soprattutto quelli che ti fissano con sguardo di riprovazione dall'alto del loro metro e dieci.

giovedì 26 agosto 2010

chiarimento sullo scrivere

mi sento di fare una precisazione visto che forse non si è capito esattamente come funziona in me lo scrivere. cioè, non che sia di vitale importanza capirlo, però voglio chiarirlo non tanto per me, quanto per un amico che si capisce dopo chi è, se continui a leggere.
allora. io fondamentamente non invento niente, io racconto pensieri o cose che mi succedono o che vedo o, al più, ricordo: punto. fantasia, capacità di costruire trame, intrecci: zero. dici: eh! fantasia niente! e ivano? ivano. ivano è un po’ da spiegare.
a volte mi capita che sono fuori con qualcuno, tipo a mangiare un gelato, no, non è vero, il gelato non lo mangio quasi mai, facciamo che siamo fuori a bere un caffè e quel qualcuno mi chiede: ma adesso ivano cosa sta facendo a casa? a me questa sembra una domanda, per usare un eufemismo, cretina, però a mio modesto parere, per carità. mi sembra un po’ cretina, eufemisticamente parlando, perché è come se io ti chiedessi cosa sta facendo tua moglie a casa in questo momento: tu mi sapresti rispondere? magari puoi immaginare che stia stirando ma non lo sai di certo (e se vuoi continuare a vivere sereno, conoscendo tua moglie, io non andrei a controllare). oppure capita che io e quel qualcuno siamo in casa a guardare la tele che non ho e a commentare il telegiornale che di conseguenza non posso guardare e ad un certo punto quel qualcuno si mette a parlare di ivano e mi chiede dov’è e cosa sta facendo e me lo chiede proprio in sua presenza e io divento tutta d’imbarazzo che ivano è sensibile e quanto sente queste cose ci rimane male malissimo che poi si rintana sotto il letto a piangere e chi lo tira più fuori di lì.
insomma, tutta ‘sta manfrina è per spiegare che ivano c’è e basta, non è una mia fantasia e quindi non posso neanche dirvi in anteprima cosa succederà nella prossima puntata perché semplicemente non lo so, non decido mica il mio futuro.
se non lo capite così non so spiegarvelo diversamente e un po’ mi dispiace, soprattutto per lui, per il mio iguano.

sabato 21 agosto 2010

scuse

mi scuso per la grafica alla cazzo del blog, cercherò di rimediare al piu' presto...

sul treno PG-FI SMN

a volte assisti ad una scena banale e il solo esserne testimone ti porta indietro nel tempo o ti proietta in avanti con l’immaginazione, nel futuro, e ti fa fare pensieri colorati di luce o di scuro. ti vedi tu con altre facce ed altri corpi, più giovane o più vecchia, vedi quello che è stato, quello che vorresti che fosse, quello che desideresti fare ma sei certa non farai mai, quello che pensi ti accadrà. a volte è piacevole, altre volte per niente. io oggi ho visto una di queste scene banali ed è stato un po’ piacevole e un po’ no. sicuramente però era una scena bella. io oggi vi racconto questa cosa a cui ho assistito, una scena di cose d’amore private e di bello universale.

da dietro il vetro della porta dello scompartimento spunta rotonda la faccia di lei: sembra una luna piena, o una padella, a seconda. spinge e tira e poi ancora spinge la maniglia della porta ma sempre un po’ incerta, con troppa poca convinzione. dal disappunto, una ruga le scava verticale la fronte nel mezzo, ma anche quella non è abbastanza decisa, pare appoggiata come una margherita tra le sopracciglia, sembra disegnata leggera leggera.

da dietro, allora, lui allunga un braccio e l’aiuta, fermo. la porta si apre, lei si volta appena, alza gli occhi verso di lui e scoppia a ridere.

si siedono nei posti paralleli al mio, al di là del corridoietto centrale: lei vicino al finestrino, lui accanto a lei.

mi incuriosiscono perché sembrano sospesi in un’altra dimensione temporale, paiono non essere toccati da nulla di ciò che li circonda. si direbbe che si conoscano da molto tempo, da sempre forse.

lei ha capelli corti e ordinati. le guance rosse le danno un’ espressione simpatica. ha occhi tondi molto grandi cerchiati da occhiaie profonde: non sembra possibile che possa aprirli più di così e invece, quando lui le parla, li spalanca come fari, come per ascoltarlo meglio, come il lupo di cappuccetto rosso.

lui è alto e di movimenti lenti, una cicogna. i capelli sono ricci e morbidi, la pelle è abbronzata; la bocca – costantemente semiaperta – ha qualcosa di languido, di femminile, che mi attrae.

si tengono per mano da quando sono entrati: neanche per passare dalla porta con le valige si sono separati.

a tratti parlano fitto fitto a voce bassa, a tratti tacciono e lei si accoccola sulla spalla di lui come un uccellino nel nido. guardano fuori dal finestrino e ogni poco lei si entusiasma per un qualcosa che io non riesco a vedere, ogni poco lei scopre un nonsocosa e ogni volta ha la stessa reazione rumorosa, infantile: fa un piccolo balzo sul sedile e lancia un gridolino squillante, poi, tutta di elettricità, si gira verso di lui e gli indica quella cosa che io non riesco a vedere, quella cosa invisibile in mezzo alla monotonia folle dei campi di girasoli, lei gli indica il nulla e lui sembra sempre scorgere queste cose invisibili che gli occhi di lei catturano.

non serve nemmeno che lei gli dica guarda, un airone, uno spaventapasseri, una nuvola a forma di cane o non so che cos’ altro, una di quelle cose che vedono solo loro e io no: lui sembra sempre vedere tutto, prima che lei glielo indichi.


a volte lui le prende una mano e gliela bacia. le dà dei baci piccoli e silenziosi.

sì, amore.

sì, amore, dice.

sì, amore.

mio.

ancora prima che lei dica qualsiasi cosa.

dice lui

sì, amore.


(di queste parole non sono sicura, ma mi sembra questo ciò che lui sussurra: ho letto il labiale e direi che sono proprio parole che ci stanno bene su una mano baciata, sono parole di innamorati, parole che fanno anello intorno alle dita, quindi è plausibile che lui dica così).

lei continua ad indicare e lui annuisce e basta, lui sa già, non c’è bisogno di spiegare niente.

poi lei, ad un certo punto, lei con la faccia tonda da luna piena, lei con gli occhi grandi e con il fare bambino, lei coi capelli corti da catechista, lei ad un certo punto gli appoggia la mano tra le gambe, sui pantaloni. gli appoggia la mano sul sesso e glielo stringe, un po’. ma così, tranquilla, come se fosse la cosa più normale di questo mondo, come se fossero da soli in salotto, davanti alla tv, come se non ci fosse nessuno vicino a loro.

non è un gesto volgare e nemmeno un tentativo di attirare l’attenzione; è evidente che è cosa loro, cosa di cani che marcano il territorio, cosa di amore e di possesso. può essere Amore se di possesso? sì, può essere.

sono belli, a guardarli. sono belli come lo sono solo certe statue greche di dèi e di dee nudi, che non provi vergogna a guardarle, che ti senti bella anche tu solo a starci vicino, che capisci che sei davanti al bello con la B maiuscola, il Bello universale, il bello che fa anche bene.

lei non toglie la mano da dove l’ha appoggiata, come a dire questa è cosa mia. lui è un po’ imbarazzato all’inizio, ma poi si lascia fare, si lascia tenere.

si scambiano un’occhiata veloce, si sorridono, continuano a guardare i girasoli fuori dal finestrino.

inizia a piovere.

di quei due potrei dirvi di che marca erano le loro scarpe, potrei descrivervi il colore dei capelli di lei che brillava come un fiume di petrolio, oppure potrei raccontarvi della camicia di lui che era macchiata in ben tre punti di caffè e in uno di dentifricio.

potrei anche svelarvi che lei aveva 15 anni e lui non arrivava ai 18.

o dirvi che lei viaggiava per i 60 e che lui aveva superato gli 80 abbondantemente.

o che lei ne aveva una trentina e lui poco più di 40.

potrei raccontarvelo, ma non lo farò: non sono dettagli indispensabili, non cambierebbero nulla.

quei due erano belli così, così come ve li ho detti.

senza età, fuori dal tempo.

sospesi in un’altra dimensione.

quei due erano il Bello assoluto, quei due erano dèi in vacanza.

mercoledì 18 agosto 2010

dFAM 11 o di regole auree

un rumore all’ingresso, come di qualcuno che provasse ad entrare, mi sveglia.

sono in vacanza qualche giorno nei pressi di pisa con mia madre e mia nonna. avevo promesso loro che oggi, mentre andavano alle terme, avrei preparato un pranzo a base di pesce. ho posticipato la sveglia fino a scaricare la batteria del telefonino e, nel mentre, devono aver fatto tempo a tornare.

mi alzo, gli occhi incispati di sonno, sbircio fuori dalla finestra ma non vedo la macchina: devono averla lasciata in cima alla stradina. sto per aprire quando mi accorgo che l’immagine che si profila dietro il vetro smerigliato della porta d’ingresso non è né quella di mia madre, né quella di mia nonna: è una figura troppo alta, troppo robusta. in un attimo realizzo che sono sola in una villa sperduta tra i campi con il cellulare scarico. rabbrividisco.

- sono io, cretina.

riconosco subito la voce. rabbrividisco due volte.

apro. ivano fa la sua apparizione come un cristo risorto, controluce: panama, ray-ban, camicia di lino bianca, bermuda che lascia il codone libero e mocassino da vela. sigaro nella mano destra e valigia in pelle D&G nella sinistra.

- bella borsa, dico. è coccodrillo?

- no, è mio cugino.

- ah. mi dispiace.

- perché? ha sempre desiderato lavorare nella moda…

sento che mi verrà presto il mal di testa. le conversazioni tra me e ivano (l'iguana di due metri che ho trovato dietro il frigo un mese fa) sono sempre piuttosto faticose, mai lineari.

- entra, sarai stanco. come hai fatto ad arrivare?

- scusa, tu come sei arrivata qui? airplane, baby, airplane.

- ok, risparmiami i dettagli. ma con cosa hai pagato il biglietto?

- ti dice niente “rimborso tasse del mese di agosto”?

cazzo, no, il rimborso tasse, no. il mio rimborso tasse no. col rimborso tasse ci volevo pagare le vacanze. le mie.

- sorvoliamo. ho bisogno di un caffè prima di affrontare l’argomento. ma perché sei venuto qui? avevamo detto che le vacanze separati ci avrebbero fatto bene…

- fica, baby, fica. dopo non vai al festival dei cinghiali equosolidali? io impazzisco per i rasta e le ragazze coi gonnelloni a fiori: vengo con te.

- ivano, no.

- sarana, sì. oh, ma sai che ti trovo diversa? cosa hai fatto? ti sei fatta crescere i baffi?

- idiota, no. guardami bene.

- ti sei depilata!

- ivano!

- i capelli! ti sei tagliata i capelli!

sorrido, gongolandomi. mi piacciono i miei capelli nuovi: penso che quando li taglio le idee mi ricrescono più forti e più belle.

l’altro giorno ero a perugia e sono andata dal parrucchiere con le mie amiche. a me non piace andare dal parrucchiere, mi annoio: odio le chiacchiere da femmine, i giornali da femmine e la parrucchiera che, femmina pure lei, di solito non capisce il taglio che voglio o non lo sa fare. però non lo dice, dice sìsì, ho capito, ma io lo vedo che non ha capito un cazzo, e inizia a tagliare alla muzzo e io sono nervosa e dico: ma non è che stai tagliando troppo? e lei fa: no, no, accorcio solo un po’ qui e un po’ qui. poi puntualmente finisce in schifo che sembro un istrice o un ombrellone da spiaggia, a seconda che la parrucchiera sia un’amante della montagna o del mare.

invece questa volta è stato diverso. siamo andate in quattro: l’arianna, la silvia, la chiarabiagio ed io. io e la chiarabiagio dovevamo tagliarci i capelli, le altre due venivano per sostenerci moralmente, scattare foto da pubblicare in tempo reale su facebook data l’importanza dell’evento e deriderci. a me la chiarabiagio mi piace assai che ci ha il sorriso grande e gli occhi puri. poi la chiarabiagio è bella che scherza sempre. soprattutto sulle sue tette scherza, che dice che sono piccole. io gliel’ho detto alla chiarabiagio che deve smetterla di ripetere che ha le tette piccole altrimenti quelle si offendono e smettono di crescere: alle tette per farle diventare grossette bisogna parlargli, come alle piante. forse adesso è un po’ tardi per la chiarabiagio, ma io proverei comunque a parlarci un po’, almeno alla sera prima di andare a letto: non si sa mai.

insomma, siamo andate dal parrucchiere e ci siamo divertite e abbiamo fatto un po’ le oche. poi…

- oh, sara, ma mi stai ascoltando?

- sì. cioè, no. cioè, poco.

mi sa che ci hanno ragione i miei amici a dirmi che ci ho i picchi autistici e che a volte inserisco la modalità Mona Lisa: sorrido e penso ai cazzi miei.

- cosa stavi dicendo?

- ti dicevo che sono arrabbiato con te.

- con me? e perché?

- ti sei scordata la regola aurea.

- non ci si taglia le unghie dei piedi in salotto?

- no, l’altra.

- …

merda. ha ragione. me ne sono andata senza salutare. la regola aurea in casa nostra, cioè mia, cioè insomma, la regola tra me e ivano è che si saluta quando si esce. sono partita e non l’ho salutato.

- ivano…scusa. hai ragione. non ho giustificazioni.

- pensavo che non saresti più tornata.

- ma lo sapevi che sarei andata in vacanza e che il mio amico sarebbe venuto a curarmi il basilico…

- io so solo che sei la mia amica e una mattina sei sparita. e non mi hai neanche detto ciao. non si fa così. conosci la regola. e sai anche che sono paranoico. punto.

mi sento una merda. ha assolutamente ragione.

- è per questo che sei venuto qui? per dirmelo? per farmi sentire una nullità?

- no, sono venuto per vedere se eri ancora mia amica. per vedere se c’eri o se eri solo frutto della mia immaginazione.

- io, frutto della tua immaginazione?

- credevo di essermi inventato tutto: le ciliegie, le storie, i porno, i massaggi ai piedi…

- no, non ti sei inventato niente. esisto. e sono tua amica.

- quindi poi torni?

- certo che torno.

- e quindi se sei mia amica mi porti al festival del cinghiale rasta?

- Balla coi Cinghiali, si chiama, no festival del cinghiale rasta. e comunque non ti ci porto.

- allora non sei mia amica.

- ‘a ivano!

- hivanoe, si dice.


che dio mi dia la forza…

mercoledì 11 agosto 2010

il veggente

il mare, dall'alto, non lo sapevo che c'era. poi l'ho saputo, che il tipo col pizzetto e il cappellino da baseball che parlava e parlava - anzi, gridava- seduto vicino al finestrino ad un certo punto ha detto -anzi, gridato- "il mare!". ma quella roba lì che lui diceva, "il mare!", non era vera: c'era una cosa, sì, lì dove le ali dell'aereo finivano di essere, c'era una cosa al di là della pineta, al di là della striscia lunga e diritta di terra che si slungava sotto di noi, ma non sembrava esattamente mare, non si distendeva orizzontale verso l'infinito. era piuttosto una scala ascendente di azzurri (e di grigi pure), era un mare verticale o forse semplicemente cielo attaccato come un poster al limitare della terra. terra, sì, ma quale? per un attimo provo un senso di spaesamento che mi fa sussultare. mi guardo intorno come a voler trovare un punto di riferimento fuori dal finestrino. dove mi trovo? è la seconda volta che atterro a roma, non sono abituata. la prima volta è stato l'anno scorso, in questo stesso periodo, feci scalo a fiumicino per andare a palermo. so dove sono, ma è come se non lo sapessi: è difficile da spiegare. l'aereo è ormai prossimo all'atterraggio, l'azzurro verticale diventa quello che, con occhi di veggente, aveva visto e annunciato il tipo che gridava, diventa mare, tutto luccicoso. e me lo sento in bocca questo mare, tutto sulla lingua me lo sento, plano su questo prato di acqua e tutto lo lecco con la lingua: io, immensa gigantessa fatta di alberi, io mi inginocchio, a gattoni m'inarco su questa terra non mia ma da sempre mia, mi abbasso come leone per bere. sotto di me strade e case e tralicci e campi quadrati e rettangolari e incroci e cartelli segnaletici e casali. scendiamo scendiamo ed ecco un fiume, lunghissimo e sicuro che si distende a mare. potente e deciso il fiume s'insinua tra le mie gambe, nel mio sesso s'infila, il fiume entra nella mia fica piccola di donna di bosco
il fiume
entra
dentro di me
donna leone gigantissima e calma
donna che vola sul mare
mare verticale
mare che non sembra mare
mare che forse è cielo.

rendiamo il tutto interattivo

chi ha windows potrebbe dirmi se visualizza correttamente tutti i post o se si vedono strani codici con lettere e numeri e segnetti strani? grazie!

domenica 8 agosto 2010

dFAM10 o l'iguano innamorato bis

torno a casa distrutta. appoggio la fronte alla porta prima di infilare la chiave nella serratura ed entrare in casa: sono stanca, di tutto. stanca del lavoro, stanca di tutta questa pioggia che mi ha infradiciato perfino le mutande, stanca di sentirmi inadeguata e sola, stanca dell’insonnia, stanca di lamentarmi e di fare il verso al brutto anatroccolo. stasera non ho voglia di sorprese, mi basterebbe trovare il mio iguano che dorme e stendermici accanto.
apro la porta, accendo la luce. da sotto il letto sbuca il codone di ivano e si sente un mugolio come di sirena.
- che ci fai lì sotto?
- come che ci faccio? mi dispero, non si capisce?
- ah. e disperarsi sotto il letto fa bene?
- sì, molto.
- ma più che disperarsi a tavola o sul divano?
- assolutamente. non c’è paragone.
- è fatta: vengo sotto il letto con te.
- prendi dei kleenex allora. e un chinotto, già che sei in piedi.
- un chinotto?
- sono tre ore che piango, ormai mi sono disidratato. guarda che pelle…
- e non potevi bere?
- ma ti pare? ero impegnato a disperarmi. e poi così ti faccio sentire utile, che ne hai bisogno.
- ah. grazie.
con due chinotti e un pacco di kleenex striscio sotto il letto e mi impano di polvere. si vede che sono ingrassata, il culo mi rimane mezzo incastrato di fuori.
- ma perche sei triste?, chiedo.
- per ilaria.
- ti dispiace che se ne sia andata?
- sì…
- e poi?
- io…io mi ero innamorato di lei. ma proprio tanto. che quando vedevo i suoi piedi così lunghi diventavo tutto un bollore. non ho mai conosciuto una ragazza con piedi più belli, mi ricordavano quelli di mia mamma.
- …
- e poi sapeva arricciare la lingua in un modo così…così arrapante. la faceva diventare tutta come un pizzo ad ondine oppure la trasformava in un cuoricino. quando le dava forma di cuore sembrava che la sua bocca contenesse un piccolo bacio, sembrava una scatolina porta-anello. avrei voluto avere io una lingua così.
- mmm…e gliel’hai detto? cioè, non dei piedi e della lingua…le hai detto che ti piaceva?
- no. non ho fatto in tempo.
- e perché?
- è partita troppo presto. ma il fatto è un altro. ilaria non faceva che parlare di me, ma in realtà non mi vedeva.
- ma come, non ti ha visto?
- no, mai. diceva di vedermi, ma quando parlavo, ad esempio, guardava sempre dalla parte sbagliata. sembrava sentisse, ma credo avvertisse solo un brusìo. vedeva quello che voleva lei. o forse quello che riusciva a vedere. solo una volta, mentre le accarezzavo piano i piedi quel giorno che vi siete addormentate sul divano, lei si è svegliata e per un momento mi è sembrato che mi vedesse. ma credo che abbia pensato che fosse tutto un sogno…
- ma guarda che ilaria è così, è un po’ stordita…ma io lo so che le piaci, me l’ha detto tante volte.
- lo credevo anche io, sai. però mi sa che a volte le persone preferiscono vedere solo quello che le fa stare bene. forse quando si è resa conto che ero veramente un iguano che fuma sigari puzzolentissimi, un iguano con una coda ingombrante e lo smalto sulle unghie…forse ha preferito pensare che fossi un iguano d’invenzione.
- …
- io avevo imparato anche tutto il time warp per lei…
- sì, lo so. e sei molto bravo a ballarlo…
- …
- …
ivano emette una specie di guaito straziante, tipo i gatti quando non riescono più a scendere da un albero o hanno paura a stare nella gabbietta per andare dal veterinario. alterna mugolii a rumorose succhiate dalla cannuccia del chinotto.
- ma tu…tu mi vedi, vero?
- certo che ti vedo, rispondo.
- e pensi che ti potresti innamorare di me?
- ma io sono già un po’ innamorata di te.
- …AH. ma non è che sai arricciare la lingua come ilaria, tu?
- no, mi dispiace.
- peccato. mi sei simpatica e ci hai pure le tette grossette come piacciono a me, magari sarebbe nato qualcosa, ma se non sai arricciare la lingua…hai pure i piedi piccoli!
- …eh, non siamo mica tutti perfetti…
abbiamo finito il chinotto. e anche con la scatola di kleenex ci abbiamo dato dentro. sono tanto stanca, è straziante vedere il mio iguano così.
- senti, vuoi che ti balli il time warp?, mi dice ivano iluminandosi in viso.
- sì, per favore. e dopo mi metti a letto?
- dopo dormiamo belli e dannati come riff raff e magenta. io faccio magenta, ovviamente.
- ovviamente.

venerdì 6 agosto 2010

giovedì 5 agosto 2010

dFAM9 o l'iguano innamorato

ho detto a ivano che domani arriverà la mia amica ilaria. ha voluto che gli raccontassi di lei e che gli mostrassi le sue foto. se n’è subito innamorato. voleva che gli creassi un profilo facebook per contattarla ma mi sono rifiutata.

stasera, mentre rincasavo, gli squatters che abitano nel primo appartamento della stradina mi hanno fermata chiedendomi se potevo dire al mio coinquilino di abbassare il volume dello stereo perché il giorno dopo alcuni di loro avrebbero dovuto alzarsi presto per occupare una palazzina e non avrebbero disdegnato un sonno privo di rumori molesti (hanno proprio detto così).

It's astounding/Time is fleeting/Madness takes its toll…

mi avvicino a casa e le note del time warp mi spettinano. entro.

I've got to keep control/I remember doing the Time Warp/Drinking those moments when/The blackness would hit me/ And the void would be calling

ivano mi si palesa con vestito solamente di un cilindro di paillettes dorate e scarpa da tip-tap.

It's so dreamy/ Oh, fantasy free me…

spinge furiosamente il bacino avanti e indietro e ammicca.

But it's the pelvic thrust/That really drives you insane…

- ivano…perché?

- voglio impressionarla.

- stai pur certo che quando ti vedrà, se ti vedrà, si impressionerà di sicuro. anche senza balletto.


Riff Raff With a bit of a mind flip

Magenta You're into the time slip

Riff Raff And nothing can ever be the same

Magenta You're spaced out on sensation

Riff Raff Like you're under sedation

Chorus Let's do the Time Warp again…Let's do the Time Warp again…

mercoledì 4 agosto 2010

soffro di una forma lieve di dislessia, io. nella mia testa alcune lettere si confondono mentre scrivo, soprattutto quelle con suono o forma simili o quelle speculari. scambio v con f e g, s con z, p con q, d, b, u con n.
a me non piace leggere ad alta voce perché il mio cervello legge a mente molto più in fretta di quanto io riesca a pronunciare. a voce alta, le lettere mi si incastrano in bocca e mi fanno inciampare la lingua. è una sensazione fastidiosa, che peggiora quando sono stanca.
questo è un periodo in cui dormo molto poco e la mancanza di riposo mi rende distratta e mi fa incidentare le lettere tra il palato e gli incisivi. la mia testa viaggia ai duecento e io sono troppo lenta per riuscire a catturare le storie che mi si impastano nella mente.
assisto impotente a tutto questo farsi e disfarsi di paroline e fatico a scrivere.
è tutta una visione di mondi che non può essere né fotografata, né raccontata.

chiedo un po’ di silenzio nella mia testa, no anzi, un po’ di ordine.
anche pocopoco.
devo zittirmi per un po’ ad aspettare che le parole rallentino.
non vado via.
ho solo bisogno di starmene seduta sul moletto ad occhi chiusi e mente spenta.
poi torno e vi racconto ancora le storie, promesso.

voi però non andate via.

domenica 1 agosto 2010

magia bianca

io stanotte ho visto tutti i bianchi del mondo, con gli occhi della mente li ho visti. tutto iniziava dalla copertina di un disco in vinile, una copertina bianca. nell’angolo in alto a destra c’era come della pittura (bianca ) che colava, pittura sbavata, mentre nell’angolo inferiore a sinistra si vedevano codini di anatre bianche e ali. al centro, un castello sepolto dalla neve. tutto era bianco. intorno alla copertina del disco, pure: tutto bianco. i bordi sbordavano nel bianco, si dissolvevano nel bianco. la realtà era bianca.

io avrei voluto essere un eschimese per poter avere una parola per ogni tonalità di bianco.


ma la cosa più bella

la cosa che non mi scorderò mai

era il cielo.

il cielo era bianco.

ma biancobianco.


B I A N C O.


quel cielo era bianco di oche.