martedì 28 dicembre 2010

a parte i conigli

tornando a casamilano, sul pullman dalla malpensa, son passata vicina a campi pieni di enormi conigli grigi, conigli giganti tutti di nebbia, dei superconigli più grandi dei pullmanss, dei camionss e degli aereiss.
non si vedeva niente, a parte i macroconigli nebbiosi, niente.

giovedì 23 dicembre 2010

parole rivelate

accade talvolta, nel quotidiano, che spiragli di senso si aprano e si offrono a noi, in forma di parole piene di grazia, parole come stelle alpine.
esse si fanno a sorsi brevi, discontinui; nelle cose si disvelano, illuminandole.
nostro è il compito di infilare una ad una queste parole e farne collane di bellezza pura, primitiva, vegliando su ago e filo, costantemente.
ma lo scopo non è la chiusura con click-clack della collana: lo scopo è la scoperta e la riscoperta della bellezza, nella contemplazione, nella gestualità ripetuta del fare.

aspettiamo dunque le parole nelle crepe del giorno, aspettiamole.
aspettiamole nella solitudine e nel silenzio della mente.
bisogna educare il corpo all’attesa come forma di ricerca, di incontro.
essa può logorare la carne e il pensiero, può sfilarci la filigrana, ma noi dobbiamo rimanere sempre vigili, e pronti. armati di ago e di filo, di giorno, di notte, nel sonno, nel mare, sul tram, nel letto, telefonando a casa, mescolando la zuppa:
guardare
fare
ricercare.

aspettare.

venerdì 17 dicembre 2010

ancora della scrittura

tessere parole costa.
è un gioco di abilità, di dita ostinate su nodi piccoli e serrati, su fili che tagliano.
è ricerca di equilibrio, lavorìo di testa, inarrestabile e matto.
scrivere libera dalla pena e ne principia un'altra, che ha termine solo con la scrittura la quale  allarga crepe in cui s'insinuano nuovi dolori che a loro volta... senza una fine.

ma ora sediti qui, accanto a me, sul molo:
ho grandi reti da dipanare.
adesso tutto è un groviglio, sì,
ma ho nelle tasche due pani tondi di pazienza,
per noi due soli,
sittàti a sbrogliare catturini
per parole di guizzo argentato.

rimani qui, accanto a me:
vedrai che in due è tutto più semplice
tutto più semplice e 
assolutamente impossibile.

domenica 12 dicembre 2010

mi chiedono, rispondo (o almeno ci provo)

come fai a scrivere che si vede tutto negli occhi dell’immaginazione, mi chiede.
non lo so come faccio, me l’hanno già chiesto, ma proprio non lo so, se no te lo direi.
mi chiede allora quali sono le mie abitudini di scrittura e lettura e io ci penso.
e realizzo che non posso parlare di abitudini, soprattutto per la scrittura. 
io scrivo con una certa regolarità da quando è nato la saRamandra. prima c’erano solo scritti sparsi, cose concrete poche: un libro per bambini; robine di ragazza piaciute a qualche concorso; cose vecchie, moooolto vecchie.
scrivere tutti i giorni (o almeno provarci, perché non sempre ci riesco) non è un’abitudine, è una disciplina che mi hanno suggerito e che ho deciso di impormi.
tu ti metti lì e tutti i giorni scrivi. a volte a me si torcono le budella, non mi viene fuori un rigo. altre volte invece penso che non succederà niente e poi invece qualcosa esce e magari è anche dignitoso.

come decido cosa scrivere? uhm. diciamo che dipende. 
il mio pensiero non segue una linea retta. nella formazione di un concetto, ad esempio,  procede a “balzi”. quindi io, se devo arrivare da A a G faccio tutto un giro che passa per D e poi per B e per C e bla bla bla e poi arriva a G. oppure tocca solo B ed E e arrivo comunque alla meta. se devo analizzare un problema faccio fatica perché non riesco a procedere ordinatamente ma salto di qua e di là considerando i dati in maniera “generale”. un po’ come quando leggi un articolo di giornale velocemente cercando di estrapolare a grandi linee il contenuto. il fatto è che pensare così ti porta ad avere delle intuizioni ma anche a far grandi casini perché spesso giungi a conclusioni errate perché non hai considerato tutti i dati in maniera analitica.
questo è per spiegare che difficilmente io progetto una storia seguendo uno schema narrativo e quando lo faccio mi stufo, perché tutto diventa macchinoso, forzato, una cosa di dovere. finisce che faccio come zeno cosini, che inizia a pensare a come si fa a camminare e alla fine, nel ragionare su muscoli, articolazioni e ossa, si inzoppichisce tutto e non riesce più a muoversi.
riassumendo: il percorso per arrivare a G da A è spesso lungo e disordinato però poi a G ci arrivo, sempre. 
e ci arrivo per immagini. 

in testa io ho più che altro immagini, “polaroid di parole” dico io: piccoli flash di visto (nella realtà o nell’immaginazione) che devo cucire insieme al parlato, allo scritto.
oggi ho letto il blog di una mamma che per spiegare al figlio di un pugno di anni la differenza tra il porno e il sesso (il piccolo inizia a far quelle domande che fanno sudare i genitori) gli ha detto, tra le altre cose, che chi fa uso del porno usa solo un senso, la vista, e un poco l’udito, mentre a fare sesso si usano tutti i sensi e ci si diverte di più.
ecco, io cerco di farci l’amore con le parole, anche amore di scopata, ma non sesso da video. 
se io penso che tu stai dall’altra parte del mondo e ti devo raccontare una cosa che non hai visto o che non hai provato, io devo sforzarmi di utilizzare parole che sveglino tutti i tuoi sensi di modo che ti vibri dentro qualcosa che ti accenda. 
ecco, questo sì che lo so. non lo faccio come a seguire un metodo ma lo faccio normalmente, anche quando racconto a voce quello che mi è capitato oggi in fila dal panettiere.  

il mio non è “il modo giusto” di scrivere, non esiste il modo giusto. questo è un modo. ad alcuni piace e ad altri no. forse scrivo cose così come le vorrei leggere. 
i libri in cui l’autore ti descrive ogni singolo filo di quello splendido arazzo del 1700 mi distruggono l’anima. li leggo come il giornale del vicino sul metrò: a grandi linee, quel che basta a capirne il senso. non mi interessa vedere nel dettaglio, non mi serve una lente d’ingrandimento.  io voglio vedere come a teatro, solo alcuni punti del palcoscenico: ben illuminati sì, ma anche con tante ombre. 
dove l’occhio di carne non arriva arriva l’occhio della mente a completare l’immagine: e la completa a piacimento e appropriandosi dell’intero disegno.

nello scrivere cerco l’essenziale, il segno pulito e indispensabile. è tutto un lavoro di togliere più che di aggiungere. 
insipensabile per me non significa scarno o povero. 
il gioco è indispensabile. anche la musicalità lo è. e il colore. 
ecco: tutte queste sono cose indispensabili, per me, nella scrittura. indispensabili nel senso che sono vita.
e con questo arriviamo alla lettura.

io sono lettrice ‘gnuranta. lettrice vorace da bambina e adolescente, mi ritrovo ora a terminare si e no una decina di libri l’anno. 
da piccola ho letto quintali di libri illustrati sulla natura, gli animali, le piante.
mi piacevano i libri di fiabe ma con poche illustrazioni così potevo immaginare quello che volevo. spesso il disegno mi disturbava, un po’ come quando vedi un film prima di leggere il romanzo da cui è stato tratto e dopo, durante la lettura del testo, non riesci a fare altro che visualizzare il volto dell’attore protagonista.
anche nelle letture sono stata disordinata: leggevo tutto quello che mi passava sotto mano, o meglio, lo consumavo, senza criterio. 
ho frequentato il liceo linguistico e ho letto qualche classico in francese e in inglese. conta? boh, magari fa curriculum.

ho amato molto calvino, natalia ginzburg, isabel allende. montale, silvia plath, hikmet tra i poeti. recentemente, la valduga, la gualtieri e la biagini. 
ecco, sì, la poesia mi piace molto. la poesia degli oggetti quotidiani, quella dove io ti dico caffè, braccialetto e sigaretta e a te si spalanca un mondo in testa, quello che vuoi.
e poi i fumetti. 
tanti e tutti a caso. da paperino a diabolik, da manara a pazienza. i peanuts. dylan dog. calvin&hobbes. mi piace l’idea di riuscire a far stare una storia in una striscia, una vita in un riquadro. 
quando vivevo a milano mi piaceva anche andare a teatro ogni tanto. perché a teatro si fa tutta la magia del raccontare. lella costa, ascanio celestini, davide enia.
e poi, parlando di magia del raccontare, mia nonna. non a teatro, a casina. con tante storie tutte inventate di montagne e animali e contadini.

ecco, questo è quasi tutto quello che mi è entrato nelle orecchie e negli occhi in circa venticinque anni. 
forse, anche se la mia memoria funziona in modo bizzarro, in qualche modo mi si è depositato dentro, dando origine a forme nuove che escono oggi da me in un modo ancora inconsapevole ma misteriosamente strutturato.

giovedì 9 dicembre 2010

disegnata

disegnami, dai.
fammi me nel mondo di matita.
io me tranquilla, coi pensieri srotolati dritti ma morbidi.
ecco, così.
prima le spalle, sì. poi? poi il collo. sì.
intorno mi fai i leoni blu? per giocare, solo un po’.
fammi con l’acquerello, per favore.
fammi nell’acqua, di acqua.
e i pesci, fammi tutti i pesci intorno.
e le meduse.
che schiena dritta mi hai fatto!
e adesso?
fammi bella, culetto rotondo.
le gambe lunghe
e sode.
e ora i piedi, perfetti di statua.
la pancia, rotonda anche lei,
il sesso, in una piccola mano
e l’ombelico, un anellino di scuro.
i seni così come sono mi piacciono.

non mi voglio di bianco e di nero
voglio le sfumature.
azzurrina,  azzurrina come i leoni fammi.
e dalla bocca papaveri come pugni, occhi di fiamma.

(ti  brucio il disegno con la me di dentro di rosso,
se non stai attento).

disegnami ancora un poco,
almeno le sopracciglia, folte, e il sorriso.
voglio il sorriso della me che non c’è più, in questo disegno.

poi seppelliscimi
di acqua e colore.
annegami
spariscimi.

finchè tutti i segni si azzittano eterni nella mia testa.

martedì 7 dicembre 2010

nonostante la scadenza


a mia sorella Arianna, 
che sa, che mi sa.


facciamo che ti regalano un cane a natale.
tu non te lo aspettavi proprio un cane a natale, ma neanche al compleanno, a dir la verità. tu non sei tipo da cane, non sei proprio tipo da animali: per te gli animali sono un qualcosa che si muove fuori casa, non dentro.
tu non sei assolutamente un tipo da cane, al massimo potresti essere un tipo da gatto, tutto croccantini e sporadici grattini, ma da cane proprio no.
il cane lo devi portare fuori almeno tre volte al giorno, anche quando piove, anche quando nevica, anche quando hai la febbre. il cane quando è bagnato puzza di cane bagnato e poi anche il tuo divano puzza di cane bagnato e tutti i tuoi vestiti su cui si struscia il cane puzzano di cane bagnato quando piove e di cane non bagnato quando non piove (sempre odore di cane è e non ti piace).
i tuoi genitori non ti hanno mai preso un cane quando eri piccolo e quando chiedevi “perché no?” ti rispondevano “perché poi ci si affeziona troppo”. e non l’hai mai capita fino in fondo questa risposta ma alla fine ti sei convinto che un senso deve avercelo e questo è diventato il vero motivo per cui non  hai mai preso un cane: raggiunta l’età della ragione, non l'hai più voluto per paura di affezionartici troppo.
però ormai questo cane te l’hanno regalato e adesso ti guarda con la testa inclinata di lato e gli occhi rotondi e neri.
nel momento in cui il tuo sguardo incrocia il suo, sparisce dalla tua memoria il monito genitoriale, svapora l’odore di pelo bagnato, le passeggiate obbligatorie si trasformano immediatamente nell’ occasione che tanto aspettavi per condurre una vita meno sedentaria.
il cane ti guarda e tu sei fregato: ti ha innamorato, per sempre.
e tu quel cane inizi ad amarlo come se da sempre lo amassi, come se lo avessi aspettato da sempre ma da sempre lo conoscessi: tu quel cane lo ami come una logica conseguenza del tuo essere, come una liberazione.
quel cane tu  lo ami pur sapendo che quello è un amore che porta scritta la data di scadenza.
un cane vive in media dodici anni. se sei fortunato, quel cane morirà prima di te, quando tu sarai nell mezzo del cammin di nostra vita, lasciandoti col cuore spezzato nella selva oscura. questa sofferenza la leggi tutta nel momento in cui affondi nel suo sguardo, nell’istante in cui il suo guaito ti fa vibrare qualcosa dentro il cranio, alla base del collo, sfibrandoti. la leggi e prontamente giri il cane in modo da non vederla più.
e poi niente. poi tutto cambia.
inizia la tua vita col cane: tu non sei più la stessa persona, il mondo non è più lo stesso.
ti entusiasmi per cose che –non ti spieghi perché- annoiano i tuoi interlocutori quando le racconti: cappottini per cane, guinzagli, giochini, risse tra cani al parco... ti ritieni un incompreso e giungi alla conclusione che solo i Veri Amanti dei Cani possono capirti; in realtà, ti sei completamente rincretinito.
il tempo passa, tu ti dimentichi della data di scadenza del cane, ma questo non è sufficiente a cancellarla.
e il tuo cane –che dal primo giorno non è più un cane ma è Poldo, Mizzi, Whisky, Laika- il tuo cane un giorno si ammala, soffre tantissimo e muore.
di nuovo, tu non sei più la stessa persona, il mondo non è più lo stesso.
ti senti un idiota ora, perché  solo adesso capisci il senso di quella frase, di quel “perché poi ci si affeziona troppo”. quella frase non era completa, quella frase portava in sé la pesantezza insostenibile del non detto: “e se ti affezioni troppo poi stai male, quando non c’è più”.
vedendoti soffrire, ti chiedono: ma se rivivessi oggi quel natale di tanti anni fa, sapendo che ti toccherà patire così, lo riprenderesti Poldo, Mizzi, Whisky, Laika?
e il dolore da schianto ti fa dire MAI, mai lo riprenderei Poldo, Mizzi, Whisky, Laika, se solo sapessi.

ma dentro di te
la tua parte più vera sa
che negarsi il dolore e la morte
significherebbe non conoscere mai quell' Amore di Cani
che ti si è scritto nella carne:
baci animali sulla faccia nella bocca
chilometri di zitto nella pioggia nella neve nel sole
il braccio tuo fra i denti suoi
la rabbia tua, a cazzo.
il perdono suo, sempre.
e tutto il resto, incondivisibile.

se potessi ricominciare col tuo Poldo, Mizzi, Whisky, Laika, ricominceresti.
se potessi ricominciare con il tuo Matteo, Marta, Giulia, Enrico, ricominceresti.