giovedì 4 agosto 2011

di luce lucia

sì, lucia, sì.
dai lucia, dai, dai, dai.
lucia che fa una O piccola e allungata con la bocca e gli prende la lingua tra le labbra, i seni morbidi di lucia – due marshmellow- che sgusciano fuori dalla canottiera -dio sì, sì, dai- la farfalla azzurra del perizoma in cima al culo a panettone mignon di lucia –dio così, così- il culo di lucia sollevato davanti a lui come un regalo appena scartato, come una festa –più piano, più piano- il culo di lucia abbronzato senza costume -più piano, più piano, cristo!- la bocca di lucia aperta poco, gli occhi di lucia che lo guardano all’insù, inginocchiati in basso –dai dai dai!- i capelli di lucia…
“gioooooovaaaaannni! è tarti, muoviti! la madonna ti vede e s’addolora a sapere quello che fai sotto i lenzuola! esciti!”

in un attimo è ressa sotto le coperte: la madonna di loreto con quattordici agnelli belanti a conficcarsi chiodi nel petto, lucia a mangiarsi le unghie col perizioma calato alle ginocchia e sua madre in babydoll a far le presentazioni.
vaffanculo. vaffanculo vaffanculo vaffanculo.
si alza, inciampa nel copriletto, si infila nella doccia e attacca a cantare tiziano ferro finché l’acqua gli entra nel naso e quasi lo soffoca.

finisce in bagno ciò che aveva iniziato in camera, lo finisce senza la madonna dei chiodi e mamma rosa. solo lui e lucia e tutto il bagnato.
ne esce che è un dio dell’olimpo, un dio dell’olimpo cecato. tasta la mensola sotto lo specchio, cerca gli occhiali, pensa:
“sono al pacino in profumo di donna, anzi no, sono meglio di al pacino, se incontro al pacino stamattina capace che mi chiede se gli faccio un pompino. ma io gli dico: eh, no, caro pacino, ti piacerebbe! oggi no, oggi devo andare a i delfini, al bar di lucia, vado a dirle che è bellissima, che con quei capelli tutti a riccioletti pare un leone di luce, un sole. oggi pacino no, mi dispiace. magari domani. magari.”
oggi giovanni andrà a i delfini e così dirà a lucia, le dirà 
lucia tu sei il sole, tu sei un leone di luce.
poi si fa inghiottire da una nuvola di AXE Dark Temptation, tutto maschio irresistibile più di al pacino, controlla i brufoli allo specchio e decide di schiacchiarsene tre, partendo da quello più grosso e più giallo vicino alla narice destra. si rovina, sanguina, arriverà al bar pieno di croste.
“meglio le croste dei brufoli” , pensa.
“‘sto cazzo, no. meglio un cerotto di una crosta sanguinante”.
e si incolla tre cerotti in viso, di quelli quadrati.
adesso sembra un album delle figurine panini, ma almeno non gocciola sangue.
si infila la camicia bianca e i jeans neri, in casa il termometro segna ventisei gradi, sono le sette e trentacinque di mattina, tra due ore la strada sarà un altoforno, lui è appena uscito dalla doccia ed è già una vasca di sudore ambulante. si strizza l’occhio e il pacco allo specchio e va in cucina a fare colazione.
“quanto s’i bello ammore di mamma, fatti vedere, fatti toccare”.
mamma rosa gli accarezza il petto, gli passa leggera il dito indice sul labbro superiore.
dice
“bello il figlio mio, bello come quelli della tv. a costantino mi sembri.”
e ride di una risata a gambe all’aria.
“non mi toccare, dice giovanni, non mi piace quando stai così.”
“così come?”
“così allegra.”
“non si può essere allegri? e da quando?”
“così allegra come sei tu mi dà fastidio. così che mi tocchi, che dici cose da vergognarsi anche agli sconosciuti.”
“e che ho detto? ho detto che sei bello come a costantino. e sei mio figlio, mica uno sconosciuto!”
“no, dicevo come ieri, che hai detto a nicola che se eri più giovane una bottarella gliela davi. mi fai vergognare.”
“emmammamà! e da quando ti vergogni di mamma?”
“non mi vergogno di te, mi vergogno di quello che dici a volte.”
“quanto sei permaloso, figlio mio! è che mamma è ancora giovane e tiene voglia, ma è sola. lo capisci che è sola, mamma? mamma mica fa come papà che va a donnacce, mica può, mamma!”
“see, vabbè. le hai prese le medicine?”
“sì che le ho prese, amore mio. il mio bambino che si preoccupa per la sua mamma! ticchiticchiticchitì! fatti fare il solletichino, eddai, un poco solo!”
“e lasciami! esco, è tardi.”
“permaloso, che sei!”
“sì, ciao.”

scende in cortile, dribbla i sacchi della monnezza e calpesta una merda come una sacher torte per otto persone: consistenza, spessore e colore uguali, manca solo la marmellata di albicocche.
dio povero e crocifisso.
è tardi, deve muoversi. striscia il piede per il cortile, lo striscia a destra e a sinistra sul gradino più vicino, quello della signora lanfranchi. gli spiace per la signora lanfranchi, è pure gentile con lui, ma adesso non c’è tempo per fare gli educati: deve andare al bar i delfini e dire a lucia che è bella come il sole, che è un leone di luce. lei a quel punto cadrà innamorata e gli farà gli occhi inginocchiati e la bocca piccola e il culo a regalo scartato e faranno all’amore sul frigo dell’algida e lui la prenderà da dietro e lei dirà ancora, dirà sì, ti prego, dirà che cos’è questa puzza di merda che mi punge anche gli occhi, amore?
“antonio capitone, io ti spacco le corna quando ti vedo. a te e al tuo cane cagasacher radioattive, io, quando vi vedo, vi disintegro”, pensa giovanni strisciando il piede sul muro della lanfranchi.
fa per prendere la mountain bike per andare a i delfini, ma la bici è bloccata dietro a due grazielle, una bmx e il motorino del grossi. per liberarla inizia a strattonare, bestemmiare e tirare calci fino a quando le tre bici si disincastrano e finiscono con effetto domino sullo scooter che cade gracchiando a terra in un tonfo.
dalla porta di legno sotto la scale esce in tutta la sua rotondità la pancia del grossi che tira i bottoni della camicia, li tende come frecce pronte al lancio sull’arco di robin hood.
“handicappato del cazzo, che cosa hai fatto al mio motorino?”, chiede il mento del grossi che punta in alto a indicare una finestra del secondo piano della scala B. “eh? che cosa hai fatto stavolta, handicappato?”
se c’è una cosa che giovanni odia è sentirsi chiamare handicappato. è dalle elementari che lo chiamano così, da quando aveva la maestra livia di sostegno.
“handicappatto lo dici a tuo figlio.”
“non ti permettere sai?”
“non l’ho fatto apposta a far cadere il motorino, è che qualche coglione, tra cui tuo figlio, ha parcheggiato la sua bici sulla mia e io non posso slegarla.”
“non è che non puoi slegarla. non riesci a slegarla, è diverso. non riesci a slegarla perché sei un handicappato sottosviluppato.”
“tuo figlio ci sarà.”
“tu sei un handicappato del cazzo e tua madre è una pazza isterica.”
no, pure la madre no. non ha tempo per difendere l’onore della madre. e poi è vero, pazza lo è: a settimane alternate, ma lo è. le settimane pari sul divano a dire che se non ci fosse lui si sarebbe già buttata sotto la metro e le settimane dispari sulle montagne russe. yeppah!
“sì, sì. pazza lei e handicappato io. bravo, bravo. originale”, dice giovanni battendo le mani lentamente. “scusa ma ora devo andare al lavoro. anzi, devo andare a un appuntamento. sai, ho una donna che mi aspetta, io. e la tua donna dov'è, grossi? ancora ad aspettarti a sciarmascei? ”
“figlio di troia. sei un figlio di troia isterica. me lo paghi nuovo il motorino.”
“seee! ciao!”

e, liberata la bici, ridendo scatta ai centoventi verso i delfini.

(continua. se mi va.)

3 commenti:

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