sabato 7 maggio 2011

semplicemente stare

alla gelateria dove lavoro ci sono i clienti abituali, come dal panettiere, dal fruttivendolo, dal salumiere.
io me li ricordo i clienti abituali, anche se in questa gelateria ci ho lavorato due stagioni fa e non l’anno scorso. li riconosco quando entrano e molto spesso ricordo anche quali sono i loro gusti preferiti. mentre sono lì che mi dicono coppetta o cono, piccolo o medio, io me ne esco con “stracciatella, melone e nocciola” e loro rimangono basiti e mi chiedono come faccio a indovinare quello che vogliono ordinare, pensano che io abbia i poteri magici. sorrido, perché loro non si ricordano di me, ma io di loro sì.
tra i clienti abituali ci sono quelli a cui mi sono affezionata e quelli che sbologno alle colleghe appena posso. 
tra gli sbolognati due estati fa c’era il vecchio che si asciugava con la mano il moccico perennemente colante e poi pescava il cucchiaino dal mucchio anche se gliene mettevi dodici nella coppetta e la signora che ordinava sempre otto coni da portare via (ovviamente con panna, zuccherini, granella di nocciole e fuochi d’artificio inclusi).
poi c’era il signore col testone insieme ai tre figli coi testoni.
io odiavo i bambini testoni che arrivavano, urlavano, lanciavano il pallone per il negozio, leccavano la vetrina, toccavano i coni.
ma più di tutti odiavo il padre testone che non diceva loro niente.
soprattutto, l’ho odiato la sera in cui si è dimenticato all’ora della chiusura il figlio più piccolo in negozio.
un bambino di quattro o cinque anni. se l’è scordato.
l’abbiamo tenuto, io e la mia collega, su una sediolina, ad aspettare.
gli dicevamo “adesso vedrai che torna, il papà”, ma in realtà non eravamo mica sicure.
soprattutto dopo quaranta minuti.
il bambino testone stava in silenzio e guardava fuori, nel buio. tormentava le dita sottili del suo tirannosauro di gomma, muto.
“dove abiti? lo sai il tuo numero di telefono?”, gli chiedevamo. ma lui non rispondeva.
alla fine l’abbiamo portato fuori e gli abbiamo domandato se conosceva la strada di casa. la conosceva e la mia collega l’ha accompagnato fino al portone. il padre era in casa, con gli altri figli e la compagna: stavano guardando la tv.  hanno ringraziato la mia collega, sorpresi, come se avesse riportato loro un panno caduto nel suo giardino dal loro stendibiancheria.
quel bambino è rimasto in gelateria un’ora da solo. un’ora da dimenticati a quell’età è un tempo infinito che non ti permette rabbia ma solo angoscia e terrore.
io odiavo il padre testone e non sopportavo il fratello di mezzo che quando arrivava faceva più confusione di una scolaresca in gita. strafatta di cocaina.
non era tanto a posto quel bambino, mi sa. iperattivo forse, sofferente di sicuro. difficilmente gestibile certamente.
epperò io facevo la commessa, io dovevo riempire i cestini di coni, gli scaffali di coppette, fare palline di gelato, stop.
io facevo la commessa e non più l’educatrice, quindi: sticazzi, quel bambino mi dava fastidio.

adesso ho ripreso a lavorare in gelateria e sono tornati tutti i testoni, tranne il più grande.
il fratello dimenticato è un fiore, tutto solare e affettuoso con quello di mezzo.
quello di mezzo è…è un fratello testone e basta.
non fa schiamazzi, non dice parolacce.
non lancia il pallone contro il muro.
cammina e non corre.
sa ordinare il gelato da solo senza tirare cazzotti alla vetrina.
è curioso, ogni volta chiede di provare un cucchiaino di un gusto diverso.
è quello che si definisce un bambino “adeguato”.
però quel bambino testone adesso è solo un testone.
del bambino io non ci vedo più niente.

prima mi cercava con lo sguardo, nella sua confusione. voleva sempre ordinare a me il gelato. forse perché nonostante tutto avevo la pazienza di ascoltarlo anche quando non riusciva a scegliere e sbatteva la testa contro il vetro del banco frigo.
o forse, boh, non lo so.
so però che mi guardava, dentro gli occhi, nel fondo.

io adesso, quando entra, ogni volta vedo un bambino di cartone, uno zombie.
mi fissa con due occhi che mi trapassano, due occhi che ci vedi dentro solo il marrone e basta.
due occhi di drogato stanco.
sono occhi che non gridano più e che non sputano
sono occhi che non stanno bene o male
sono occhi che
semplicemente
stanno.


io voglio fare la commessa, io voglio riempire i cestini di coni, gli scaffali di coppette e fare palline di gelato, io voglio non pensare a niente.

7 commenti:

  1. Attenzione a quello che vuoi, non sia mai che si avveri.........

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  2. eheh...come quando da ragazzina dicevo che non volevo diventare una cavalla alta come mia madre (1.70) e così sono rimasta una nana :)

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  3. come si fa la faccina emozionata? così? *_*

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  4. Com'è il vecchio detto olandese? Donna nana..?

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  5. .....anch'io ....non voglio pensare a niente... allora .... preparami un bel cono "cioccolato-bacio" ... *_*

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  6. tranquilla erne, ti ci metto anche la panna montata...

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