Farina.
Tra poco arriverai, vicina
marocchina con le occhiaie, a chiedermene una tazza, l’ennesima. Cosa ci farai
mai, con tutta quella farina, solo il tuo dio marocchino lo sa. Forse gestisci
una panetteria abusiva; forse stai facendo - a mie spese -rifornimenti per il tuo
segretissimo bunker antinucleare; forse ci sforni mobili. Ti immagino impastare
in tinello, circondata da tavolini di pane e cuscini di pane e sedioline
piccole, anch’esse di pane. Forse anche i tuoi figli sono fatti di pane.
Sempre mi suoni per una
tazza di farina e io ti aspetto.
Ieri pure sei passata e io
già la tenevo pronta e preparata, la tua scodella di farina, sul tavolino all’ingresso,
sopra la bollette da pagare: tu hai suonato, io, senza neanche
domandare chi fosse, ho aperto –tanto lo sapevo che eri tu, che arrivi sempre dopo Uomini
e donne, tu-, ti ho mollato la tazza in mano e tanti saluti. Anzi, nessun
saluto, per una volta.
Perché tu, quando vieni a
chiedermi quel pugno di farina, tu parli, vicina marocchina. Tantissimo
parli.
E io non ho voglia di
ascoltare dei tuoi Omar, delle varicelle, della diarrea di Saïd, dell’assistente
sociale che non ti dà la casa comunale, di Mamoud che ha sempre la febbre e
chissà come mai. Che vuoi che ne sappia io, della febbre di Mamoud: non sono mica
un pediatra. E non lo so dove si comprano le babbucce in cuoio a buon
mercato, è inutile che tu me lo chieda.
Che poi mi irriti indicibilmente col tuo francese
da colonizzata che esce sgangherato dalla tua bocca fina impregnata di aglio
e menta e penso che potresti almeno lavarti i denti anziché mangiare le
ciungomme, vicina marocchina: sbaglieresti comunque i congiuntivi ma almeno non dovrei voltare il capo mentre fingo di ascoltarti.
E infine arrivi.
Ti apro con la tazza già in mano, ma tu hai le braccia piene di pane
un pane spugnoso e rotondo
e fai no con la testa.
E hai pianto, si vede
dalle occhiaie bagnate
e dici
Prends, prends!
Mamoud est à l’hôpital… Un mal méchant, dans la
tête , il paraît…
Dici
Tiens, manges, t’es toute maigre, toi.
Dici
Prends! T’es si gentille avec moi,
toi.
E io non ti faccio neanche
entrare.
Poi sentiamo Omar che piange
grida
maman! maman!, che sarà rimasto bloccato nel bunker
e tu ti volti di scatto
scappi verso la tua panetteria abusiva
mi dici
À demain!
E io con le braccia piene
di pane penso
che devo andare a comprare un altro chilo di farina
Io con le braccia piene di pane penso
che non so neanche
come è che fa di suono il tuo nome.
***
La parola di oggi, "farina", è stata gentilmente offerta da Fede.
Attenzione! Costruire mobili di pane e cuocerli nel forno del proprio bunker può essere pericoloso. Fatelo solo in presenza di un adulto.
Se vuoi anche tu una storia breve, scrivimi la tua parola via email (lasaramandra@gmail.com) o nei commenti qui sotto.
Ti avviserò quando sarà pronta.
Ma ke meraviglia Sara! ^_^
RispondiEliminaBrividi.
RispondiEliminaCartolina
RispondiEliminaS.