domenica 1 aprile 2012

dimmi una parola. #5 "insonnia"


Insonnia, dicono. Non so se sia insonnia. So solo che non dormo. 
E che mi viene la super-vista, di notte. Pensare, non penso a niente di particolare. A dir la verità, non penso affatto. Guardo il soffitto, gli oggetti intorno a me; durante le ore sottratte al sonno mi sembra di vedere meglio i contorni, le profondità. Se sapessi disegnare, nelle ore notturne farei disegni meravigliosi, rivelati.
Quando di notte non dormo, i fili che tengono insieme la realtà mi si mostrano.
Sembra tutto più chiaro, la notte, come studiare la radiografia di una spalla lussata, come osservare la trama di un tessuto con una lente di ingrandimento. 
Eppure, non è che poi alla mattina io abbia in mano la chiave dell’Universo, no. E’ tutto come prima: la realtà torna ad essere quella di sempre e, anche se mi è dato di conoscere i fili che la costituiscono, non è che questo mi renda migliore, o mi faciliti la vita, no. E’ come sapere quanti semafori ci sono a Manhattan (duemilaottocentoventi). O se i panda hanno il pollice opponibile o meno (ce l’hanno). Non cambia nulla.

L’unica cosa che so –non dico “che penso” perché non è che realmente pensi, di notte: ho delle specie di intuizioni, diciamo così- è che quando non dormo non sono morto.
E’ innegabile: sono sveglio, ho la percezione dei miei piedi scomodi, sento la schiena che mi fa male, le gambe che saltellano, i peli delle braccia che mi provocano prurito. Sono vivo, o qualcosa di simile.
Se morissi nel sonno, morirei solo. La mia ragazza non si renderebbe conto di nulla, non c’è rumore che la svegli.  Qualche anno fa, un autoarticolato, uscendo dall’autostrada, si schiantò a pochi metri da casa nostra. Aveva bruciato i freni. I pompieri ci misero tutta la notte e parte della mattina seguente per spegnere l’incendio. Lei non sentì nulla: né lo schianto, né le sirene, né tantomeno le urla. Io osservai tutto dalla finestra: ero sveglio, non serve dirlo. 
Quindi, se morissi di notte, la mia fidanzata non se ne accorgerebbe. Forse i miei cani sì, se ne accorgerebbero, ma siccome di notte li lasciamo fuori a dormire, dovrei aspettare il giorno seguente perché qualcuno mi trovi.
Così attendo l’alba, il momento blu in cui merli iniziano a trillare.
Quando vedo atterrare il primo sullo stendibiancheria del giardino, quando sento il suo canto sempre uguale, allora, solo allora, io scivolo nel sonno. 

Nell’ora dei vivi, in compagnia dei merli, io dormo: che non mi accada la morte da solo.


***

La parola di oggi, "insonnia", ci è stata gentilmente offerta da Gloria.
Nessun merlo è stato maltrattato durante le prove di canto. I cani dormono all'esterno dell'abitazione per una loro libera scelta narrativa.

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