mercoledì 6 aprile 2011

la resa

alla gelateria in cui lavoro entra una bambina che sembra una scopa. ha sopracciglia di fumo che verso l’interno s'impennano dandole un’aria triste. a occhio può avere nove, dieci anni. chiusa nel suo giacchetto blu si avvicina al bancone e chiede educatamente, con un filo di voce, se c’è ivo.
ivo è il responsabile della produzione. i bambini adorano ivo perché sanno che è lui a fare il gelato e per loro quello del gelataio è un mestiere bellissimo perché puoi mangiarti il gelato gratis. a volte vengono a chiedere di vedere come si lavora nel laboratorio che c’è sul retro del negozio oppure a provare a mettere una palletta di cioccolato su un cono senza romperlo.
ivo li fa entrare, spiega tutto con pazienza e spesso si abbassa all’altezza dei bambini per parlare con loro.
ivo è iperattivo e, mi dicono, ha disturbi dell' attenzione. a me non sembra messo peggio di alcuni amici miei che fanno uso regolare di erba. se non scoppia di caffè (io e ivo ci droghiamo letteralmente di caffè) sa essere molto bravo coi bambini.
“sì, c’è ivo”, risponde la mia collega alla bambina-scopa.
“potresti dirgli che devo fargli una domanda?”.
la mia collega va in produzione e torna con ivo.
i due iniziano una conversazione fitta, seria, intervallata da risate. ivo le parla piano, a lungo. ha da fare ivo, ma riesce a trovare sempre tempo per i bambini e i bambini lo cercano continuamente. è un po’ bambino ivo, forse per questo gli riesce così bene di parlare con loro. 
la bambina racconta che a scuola è venuta la polizia, parla di un compagno di classe che ha combinato qualcosa ma non capisco cosa. mi sforzo di capire il più possibile e, nello sforzo, spalanco gli occhi, lo so. così sembra che io fissi le persone e un po’ è vero. però quando le persone parlano la mia lingua non fisso, non così almeno.
la bambina si chiama lise.
no, non è vero. non so come si chiami. io l’ho chiamata lise nella mia testa. non ho avuto il coraggio di domandarle come si chiamava, avrei dovuto chiederglielo in olandese, avrei dovuto dirle “hoe heet jij?” ma la h aspirata di heet non mi viene mai e i bambini non mi capiscono e quindi, siccome è abbastanza umiliante dopo quattro anni non riuscire ancora a pronunciare decentemente “come ti chiami?” , le ho dato un nome di fantasia.
lise varca la porta a vetri e va nella fabbrica sul retro con ivo. io la osservo dalla gelateria. oggi, a guardare la produzione da dietro la porta a vetri, è come stare in un acquario: c'è tanto silenzio in negozio -che è deserto per via del brutto tempo- mentre dal laboratorio provengono attutiti i rumori che fanno i ragazzi durante l’ora delle pulizie. i ragazzi della produzione fanno tanto chiasso, sempre. è duro il lavoro di là, d'estate si muore per il caldo e per l’umidità e il rumore dei macchinari ti polverizza il cervello. i ragazzi dimagriscono molto nei due mesi estivi, diventano tutti di nervi, provano a mantenersi costantemente attivi sparando per il locale musica tecno a volumi insostenibili.
lise inzia ad aiutare i ragazzi a lavare i secchi con la canna, poi si stufa e si appoggia con una mano al bancone e con l'altra a un'impastatrice e si mette a far dondolare le gambe in aria facendo leva sulle braccia. salta e scalcia acqua da tutte le parti. ride.
lise è di pelle marroncina e ha due codini a palla alti sulla nuca, capelli di negra che svaporano nello sfondo. si muove composta attraversando l'aria senza inutili movimenti. se fossi capace di disegnarla, farei solo dei contorni precisi per le mani, timide, che quando lise parla le sbriciolano piano piano la punta del cono al limone che lecca con cura, lentamente, con piccoli colpi di lingua. tutto il resto lo farei sfumato, solo un'idea di lise, solo capelli spumosi e sopracciglia di fumo folto.
lise torna in negozio e mi segue, mi sta attaccata, mi chiede cose a cui non so rispondere. la capisco, ma il mio olandese è pessimo e comunicare coi bambini è terribile: ti guardano, ripetono la domanda pazienti, pensano che tu li stia prendendo in giro, si domandano perché tu non risponda o risponda in modo insensato ma non dicono niente, si limitano a ripeterti con crescente imbarazzo la domanda. non capiscono che sei tu l'ignorante, pensano di essere loro a non spiegarsi bene e a me questa cosa mi ammazza: per questo non voglio mai parlare coi bambini qui. e mi dispiace tantissimo perché io invece adoro farmi le chiacchiere coi bambini e dire loro cose di scherzo, farli ridere.
ivo spiega a lise che io parlo un’altra lingua e poco l’olandese. i bambini ad amsterdam sono abituati a queste spiegazioni. e quindi lise fa quello che è abituata a fare in questi casi: continua a parlarmi, in olandese. e io annaspo.
lise si muove come un gatto, ogni tanto si alza sulle punte dei piedi per vedere meglio i gusti del gelato nella vetrina. prova a riconoscerli dal colore e mi ripete i nomi, indicandoli col dito: aardbei? bosbessen? kaneel? meloen? chocolade?…mi fa domande e cerca la mia approvazione lise, cerca l’approvazione di un adulto che non sa parlare.
e io le rispondo, le rispondo come farebbe un bambino più piccolo di lei, con parole tutte singhiozzate e storte, le rispondo con gli occhi e con le mani.
mi sento tutta a pezzettini fini, tutta scoriandolata, mi sento un bambino muto.
eppure lise continua a parlarmi, col sorriso pulito e tranquillo di chi non ha fretta.
mi invade inaspettatamente di colore, come un aquilone. mi disarma con quel sorriso che sembra avere dentro l'india tutta e mille porte spalancate di benvenuto e centomila caffè e coperte rosse di panno morbido.
e io, impotente, mi arrendo.
vanilla? pistache? moka? smurf?
sì, lise, sì.

vanilla, pistache, moka, smurf.

2 commenti:

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