ci sono dolori che rimangono senza voce, scoppi in petto soffocati, morti gridate in bocche tappate.
la parola non avanza, non si fa, non si offre precisa per raccontare quella cosa lì, quella cosa che non vuole dirsi.
genova per me è uno di quei dolori.
io genova non la so raccontare.
sono dieci anni che ci provo, dieci anni che ogni volta ci rinuncio.
io le parole per raccontare genova non le ho ancora trovate, ma mi ci provo sempre, di continuo, nella speranza di fare un esorcismo potentissimo e liberatorio.
prima di genova per me c’erano i poliziotti.a casa mia si diceva che quello del poliziotto è un lavoro, come tanti. il lavoro del poliziotto è proteggere la gente.
dei poliziotti e dei carabinieri non bisogna avere paura, si diceva, sono come le api: se tu non fai niente, loro non ti fanno niente, non ne hanno motivo.
prima di genova per me c’era genova.
genova per me era la città dell'acquario dove ci puoi accarezzare le razze piccoline, era la città della focaccia unta. era la stazione dove arrivi da milano per prendere il treno per punta ala e sempre lo perdi che in sette minuti non è pensabile fare uno scambio perché tanto quei sette minuti non ci sono mai, tanto il treno è sempre in ritardo. genova erano le prostitute con la lucina nelle stradine. era il mare. erano i panni stesi fuori ad asciugare.
a un certo punto nella mia testa genova è diventata genova.
un’altra genova.
una di quelle città che esistono solo in un immaginario collettivo neanche poi tanto collettivo.
è diventata una di quelle città mitiche, che non esistono realmente; uno di quei nomi ageografici, che indicano fatti principalmente e non un insieme di case, piazze, scuole, giardini, panifici, persone che accarezzano le razze all’acquario e perdono il treno.
genova è diventato il nome di una battaglia.
e i poliziotti sono diventati sbirri.
e quella storia delle api era tutta una cazzata.
io non la so raccontare genova.
per me genova avrà sempre la faccia di quel vecchio che colava sangue dalla testa e che, arrampicandosi per la salita, ci veniva incontro con lo sguardo spalancato ripetendo "picchiano anche le donne e gli anziani! picchiano anche le donne e gli anziani!".
genova per me è un viaggio su un treno che ci porta fino a pisa e pensi
ma dove va questo treno? stiamo viaggiando da sei ore. genova non è lontana sei ore da milano, neanche quando il treno fa ritardo. pisa è giù, io devo andare in su: dove mi vogliono portare? perché non ce lo dicono?
genova per me è non entrare nell'ambulanza anche se sto vomitando pure gli occhi dal naso e sto per svenire, è non entrarci perché se no magari mi ci tonfano, lì dentro.
è pensare meglio se mi butto di sotto, meglio se mi butto alla spiaggia.
è guardare la spiaggia e vedere che la polizia arriva con le motovedette e li tonfa, pure lì sotto.
genova per me è la prima volta che penso
adesso mi ammazzano, adesso muoio ammazzata, adesso muoio, cazzo muoio, aveva ragione mia madre, non ci dovevo venire, adesso muoio, adesso mi ammazzano. ma perché mi ammazzano? che cosa ho fatto? perché mi puntano addosso i fucili dagli elicotteri bassi? mi ammazzano mi ammazzano mi ammazzano, adesso mi ammazzano, adesso muoio ammazzata.
aveva ragione mia mamma, non ci dovevo venire, aveva ragione mia mamma.
sono partita, io, pigra, solo l'ultimo giorno, il 21 di luglio.
sono partita perché pensavo –ingenua- che avrei dimostrato che non ci facevano paura, che saremmo stati più forti noi, che non potevano spararci tutti.
e invece no.
dopo dieci anni
io ancora tremo sotto gli elicotteri
e il cervello mi s’infarina quando girano in tondo
nella folla cerco una via di fuga sempre
sgambetto veloce nei sottopassaggi
accelero nei tunnel
se sto in mezzo alle uniformi mi si spegne la vista
e mi viene da prendere tutti a testate.
ma soprattutto
so che non sono più al sicuro
so che non lo sarò più
mai
mai
da nessuna parte.
genova per me è pensare ancora
all’improvviso
adesso mi ammazzano.
anche se
non ho fatto niente.
a genova
ci sono dei giorni che penso
che io,
per me,
ho perso.
oggi è il 20 luglio. dieci anni fa a Genova io non c'ero, ero a far la cambusiera ad un gruppo scout. Ho vissuto Genova leggendo e vedendo e ascoltando chi era andato. Una mia amica , la prima volta che le ho chiesto "come è andata a Genova?", si è messa a piangere. Poi una sera all'Hiroshima, un locale di Torino, hanno proiettato in silenzio tutti i video girati a Genova da cellulari, telecamere, di chi partecipava. Io non c'ero a Genova. Ma la sensazione che hai descritto è quella che ho sentito quando mi hanno raccontato la loro esperienza gli amici a cui chiedevo. E in qualche modo , pur non essendoci stata, un po' ce l'ho dentro anch'io. Altrimenti non mi verrebbero gli occhi lucidi ogni volta che leggo/sento/parlo di Genova.
RispondiEliminaGrazie Sara!..
Avrei dovuto esserci anche io. Avevano affittato un camper. Gli altri sono partiti io non ricordo per quale motivo ho dovuto rinunciare. Anche se ho partecipato economicamente lo stesso. Adesso non so dirti se per fortuna o meno io Genova l'ho vissuta da lontano.
RispondiEliminache dolore difficile, Sara, e come le sono, le siamo grati per avercelo dipanato, un grazie così intriso di dolore che non trova parole, così pieno di spavento che la testa ci gira, teniamoci insieme e le api torneranno a essere api, almeno per un po', almeno per qualcuno, almeno se e quando permetteremo che tornino api. Allora, forse, ci ritroveremo dopo esserci persi. Tutti
RispondiEliminamaria cristina
Avrei dovuto esserci anch'io a Genova, ma quando una sera dei primi di luglio ho visto un gruppo di persone che si organizzava con scudi di plastica e bottiglie legate a gamba e braccia per sfondare ed entrare nella zona rossa, ho detto "Mi sa che non finisce bene" e me ne sono stato a casa. Chiedo venia per la mia debolezza, ma ancora oggi di "Genova" si parla per le botte prese e date, i veri motivi per i quali dovevo esserci anch'io, li ho persi di vista.............
RispondiEliminaoggi ero in piscina.
RispondiEliminadieci anni fa in un bagno di sangue.
un cordone immprovvisato, ma esperto, in cui entra un ragazzo senza una gamba con le stampella.
che scappa, insieme a noi.
la notte a correre per le strade per schivare gli squdroni. in giro. sugli scooter - che non mi sono mai piaciuti.
così per dare gli ultimi colpi del giorno. prima di andare a dormire.
mentre coi cellulari si chiamano le varie parti di Genova per schivare i pestaggi.
la televisione che parla di assalt. in una scuola di notte.
e di nuovo gli eliccoteri sulla testa. i cellularri che arrivano.
ma poi tornano indietro. per la prima volta.
io oggi ero in piscina.
non so se sia un bene. o un male.
a.
sicuramente una fortuna.
io non ci sono stata, ma miei amici sì, e i loro racconti li seno rivivere in questo tuo. Abbraccio e grazie di dirlo per chi come me non c'era.
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