mercoledì 27 luglio 2011

genti che si vedono #2: ricami

ero su quel tram di istanbul, quello che taglia a meta la città, quello che passa davanti a sultanahmet e a santa sofia e ai venditori di pannocchie. stavo su quel tram tanto moderno e ariacondizionato che ogni volta che ci salivo mi sembrava di essere ad amsterdam, ma su un talgo, uno di quei treni spagnoli così refrigerati che i turisti ci viaggiano con l’imodium stretto tra le dita. ero su questo tram e andavo verso la città vecchia dal ponte di galata, quel ponte coi pescatori appiccicati, col mercato della griffe tarocca nel sottopassaggio e i grigliatori di pesce sulla riva.

andavo verso su con il mio amico, faceva quasi buio, anzi, faceva buio, e il tram era pieno, non so perché: di solito a quell’ora un po’ tarda non si stava così in un pieno.
eravamo stretti pigiati e io mi sono incastrata con una ragazzina minuta, poteva avere quattordici anni come venti. una delle sue all stars farlocche mi si è parcheggiata tra i piedi e il suo braccio destro si è appeso a un palo a poca distanza dal mio viso.
era pieno di tagli, quel braccio destro. centinaia di tagli sottili ma chiari, ripetuti, ordinati, tutti nella stessa direzione, tutti della stessa lunghezza. un ricamo con voce strozzata, una serie continua di microdolori precisi e definitivi, dal polso alla conchetta interna dell'avambraccio.
la sbirciavo, la ragazzina, cercando di non farmi vedere. mi sarei scavata una fossa mangiando sabbia se mi avesse vista mentre la guardavo.
provavo una cosa che non so spiegare, una cosa come perdere una parte molle di dentro, chessò il fegato. come se il fegato ti si staccasse e ti si rovesciasse…dove? boh, giù, da qualche parte in basso.
avevo paura che si accorgesse di me che la osservavo e così giravo lo sguardo veloce fingendomi distratta, come a toccarla con un solletico di ciglia che non si capisce da dove proviene.
poi ho alzato un po' gli occhi e ho visto che quel braccio era attaccato a dei capelli un po' maschietti ma sempre di femmina e i capelli facevano il tondo a un volto accogliente e nervoso insieme.
l'ho guardata poco in viso: fissavo il braccio ipnotizzata, mi attraeva come attraggono certi storpi o certi animali piccoli con la bava, come ci intrigano quelle cose a cui temiamo di assomigliare.
la ragazzina aveva anche un altro braccio, mi sono accorta: un copia-incolla del primo, uno spartito di righe gemelle.

quando l’ho visto
si è staccato tutto, dentro.
tutto il molle è finito bagnato per terra.
l'ho guardata negli occhi, la ragazzina
e quegli occhi neri avevano dentro tutto il buio
ma mi hanno guardata tranquilla
dicevano

ho visto che mi hai visto

ti vedo

dicevano, sorridendo,

poi passa.


quegli occhi avevano dentro me.

4 commenti:

  1. arrivo da lontano. da altri social network. per dire.
    ma felice di esser giunto qui, perchè questo post è stupendo.

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  2. grazie mille, takajiro: fa sempre piacere sentirselo dire perché io non sono mai soddisfatta di quello che scrivo.
    ci conosciamo da cose di foto instagrammatiche, vero? :)

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  3. sisi vero. dalle foto alle parole il passo è breve...!

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  4. (14,28) per me, sbagli!
    già per il fatto di far diventare ricami delle ferite, oltre, a come la descrizione di quelle braccia, la folla sul tram, i tuoi visceri, etcetc. si riescano a vedere quasi che noi immobili, fossimo presenti in ogni cosa che descrivi.
    (c'è u peggiu! tipo me, assurdo paragone, che ho la sfacciataggine di scrivere, commenti sul tuo blog, in questo modo sregolato, senza forma...)

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