a volte assisti ad una scena banale e il solo esserne testimone ti porta indietro nel tempo o ti proietta in avanti con l’immaginazione, nel futuro, e ti fa fare pensieri colorati di luce o di scuro. ti vedi tu con altre facce ed altri corpi, più giovane o più vecchia, vedi quello che è stato, quello che vorresti che fosse, quello che desideresti fare ma sei certa non farai mai, quello che pensi ti accadrà. a volte è piacevole, altre volte per niente. io oggi ho visto una di queste scene banali ed è stato un po’ piacevole e un po’ no. sicuramente però era una scena bella. io oggi vi racconto questa cosa a cui ho assistito, una scena di cose d’amore private e di bello universale.
da dietro il vetro della porta dello scompartimento spunta rotonda la faccia di lei: sembra una luna piena, o una padella, a seconda. spinge e tira e poi ancora spinge la maniglia della porta ma sempre un po’ incerta, con troppa poca convinzione. dal disappunto, una ruga le scava verticale la fronte nel mezzo, ma anche quella non è abbastanza decisa, pare appoggiata come una margherita tra le sopracciglia, sembra disegnata leggera leggera.
da dietro, allora, lui allunga un braccio e l’aiuta, fermo. la porta si apre, lei si volta appena, alza gli occhi verso di lui e scoppia a ridere.
si siedono nei posti paralleli al mio, al di là del corridoietto centrale: lei vicino al finestrino, lui accanto a lei.
mi incuriosiscono perché sembrano sospesi in un’altra dimensione temporale, paiono non essere toccati da nulla di ciò che li circonda. si direbbe che si conoscano da molto tempo, da sempre forse.
lei ha capelli corti e ordinati. le guance rosse le danno un’ espressione simpatica. ha occhi tondi molto grandi cerchiati da occhiaie profonde: non sembra possibile che possa aprirli più di così e invece, quando lui le parla, li spalanca come fari, come per ascoltarlo meglio, come il lupo di cappuccetto rosso.
lui è alto e di movimenti lenti, una cicogna. i capelli sono ricci e morbidi, la pelle è abbronzata; la bocca – costantemente semiaperta – ha qualcosa di languido, di femminile, che mi attrae.
si tengono per mano da quando sono entrati: neanche per passare dalla porta con le valige si sono separati.
a tratti parlano fitto fitto a voce bassa, a tratti tacciono e lei si accoccola sulla spalla di lui come un uccellino nel nido. guardano fuori dal finestrino e ogni poco lei si entusiasma per un qualcosa che io non riesco a vedere, ogni poco lei scopre un nonsocosa e ogni volta ha la stessa reazione rumorosa, infantile: fa un piccolo balzo sul sedile e lancia un gridolino squillante, poi, tutta di elettricità, si gira verso di lui e gli indica quella cosa che io non riesco a vedere, quella cosa invisibile in mezzo alla monotonia folle dei campi di girasoli, lei gli indica il nulla e lui sembra sempre scorgere queste cose invisibili che gli occhi di lei catturano.
non serve nemmeno che lei gli dica guarda, un airone, uno spaventapasseri, una nuvola a forma di cane o non so che cos’ altro, una di quelle cose che vedono solo loro e io no: lui sembra sempre vedere tutto, prima che lei glielo indichi.
a volte lui le prende una mano e gliela bacia. le dà dei baci piccoli e silenziosi.
sì, amore.
sì, amore, dice.
sì, amore.
mio.
ancora prima che lei dica qualsiasi cosa.
dice lui
sì, amore.
(di queste parole non sono sicura, ma mi sembra questo ciò che lui sussurra: ho letto il labiale e direi che sono proprio parole che ci stanno bene su una mano baciata, sono parole di innamorati, parole che fanno anello intorno alle dita, quindi è plausibile che lui dica così).
lei continua ad indicare e lui annuisce e basta, lui sa già, non c’è bisogno di spiegare niente.
poi lei, ad un certo punto, lei con la faccia tonda da luna piena, lei con gli occhi grandi e con il fare bambino, lei coi capelli corti da catechista, lei ad un certo punto gli appoggia la mano tra le gambe, sui pantaloni. gli appoggia la mano sul sesso e glielo stringe, un po’. ma così, tranquilla, come se fosse la cosa più normale di questo mondo, come se fossero da soli in salotto, davanti alla tv, come se non ci fosse nessuno vicino a loro.
non è un gesto volgare e nemmeno un tentativo di attirare l’attenzione; è evidente che è cosa loro, cosa di cani che marcano il territorio, cosa di amore e di possesso. può essere Amore se di possesso? sì, può essere.
sono belli, a guardarli. sono belli come lo sono solo certe statue greche di dèi e di dee nudi, che non provi vergogna a guardarle, che ti senti bella anche tu solo a starci vicino, che capisci che sei davanti al bello con la B maiuscola, il Bello universale, il bello che fa anche bene.
lei non toglie la mano da dove l’ha appoggiata, come a dire questa è cosa mia. lui è un po’ imbarazzato all’inizio, ma poi si lascia fare, si lascia tenere.
si scambiano un’occhiata veloce, si sorridono, continuano a guardare i girasoli fuori dal finestrino.
inizia a piovere.
di quei due potrei dirvi di che marca erano le loro scarpe, potrei descrivervi il colore dei capelli di lei che brillava come un fiume di petrolio, oppure potrei raccontarvi della camicia di lui che era macchiata in ben tre punti di caffè e in uno di dentifricio.
potrei anche svelarvi che lei aveva 15 anni e lui non arrivava ai 18.
o dirvi che lei viaggiava per i 60 e che lui aveva superato gli 80 abbondantemente.
o che lei ne aveva una trentina e lui poco più di 40.
potrei raccontarvelo, ma non lo farò: non sono dettagli indispensabili, non cambierebbero nulla.
quei due erano belli così, così come ve li ho detti.
senza età, fuori dal tempo.
sospesi in un’altra dimensione.
quei due erano il Bello assoluto, quei due erano dèi in vacanza.
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