il pezzo che seguirà è una cosa che ho scritto mesi fa.
è una cosa che tiro fuori con piacere dalla cartellina “de ruspa!” -quella degli esercizi miei quotidiani- per dedicarla a una persona piccola ma allo stesso tempo grande e piena di forza che sta cercando la sua strada tra i fornelli, la macchina fotografica e i pennelli.
io spero che a questa persona, questo scribacchio, faccia piacere.
****
il movimento in cucina è un cerchio che si apre e si chiude, è collanina rotonda.
ogni gesto deve essere misurato e ripetuto puro e uguale a se stesso affinché il piatto riesca, perché la macchina di cucina non si inceppi.
cucinare non è assemblare ingredienti seguendo un procedimento.
cucinare è vedere prima con gli occhi della mente il piatto finito già apparecchiato con odori e sapori e colori. poi, solo poi, fare.
il fare è tutto disegnato dal corpo che si disciplina in uno spazio finito, a contatto con gli oggetti e la loro essenza, con il loro essere lì.
il corpo di cucina si plasma e si espande tra altri corpi di cucina tendendo alla precisione della forma, sua primariamente, e di ciò che lavora, in un secondo momento.
è un piegarsi a movimenti che devono essere quelli e solo quelli, identici e sempre di misura esatta. ogni serie di azioni si deve concludere con la pulizia e il riposizionamento ordinato degli utensili. tutto si dà per poi svanire, per non lasciare traccia al di fuori di sé, come tavola di lino bianca ancora da mangiarci sopra.
queste ripetizioni tracciano nel corpo solchi come binari da ripercorrere su e giù sicuri, senza incertezza.
su e giù, su e giù.
poi, dopo, il piatto ti viene.
ma no automatico.
il piatto ti viene perché ti è entrato dentro, perché il corpo si è lasciato addomesticare e il corpo addomesticato ti offre a quel punto il movimento perfetto.
e il piatto, così come deve essere, non eseguito ma generato.
tu questa generazione non la puoi spiegare.
ti chiederanno la ricetta e tu cercherai di essere preciso ma poi tutti si lamenteranno che diranno che il piatto non gli è venuto uguale e penseranno che hai un segreto che non vuoi dire, ma no.
e non è questione di mera ripetizione.
è questione di arrendersi agli oggetti, di offrirsi a loro.
ecco, quando scrivo o racconto quelle storie che qualcuno dice come collanine rotonde che si chiudono bene, per me è un po’ la stessa cosa.
non saprei spiegare come lo faccio, so che è qualcosa che è scritto nel corpo di carne, qualcosa che si è depositato in profondità nel tempo e che prende una forma sempre più chiara e precisa nel ripetersi, nell’offrirmi, nell’arrendermi all’essenza delle parole.
scrivere per me è resistenza e resa e ancora resistenza.
scrivere è un cerchio che si chiude.
come i movimenti di cucina.
WAUU!!:) ma che sorpresa meravigliosa!
RispondiEliminaIl mio cuore si è riempito di gioia e mi ha fatto tanto piacere sentirlo dedicato...è un onore!
Grazie...Grazie davvero,cara!!
che piacere leggere la tua su un amabile faticoso mestiere.
RispondiEliminabrava
ma grazie!
RispondiElimina