oggi, per la prima volta dopo non so quanto tempo, ho sentito nuovamente la spinta ad uscire di casa. sono andata in un parco bellissimo, ho visto le cicogne e ho scattato delle foto a dei bambini nudi che le inseguivano.
poi ho fatto la spesa e, al mio ritorno, ho trovato ivano affacciato alla finestra che dà sulla stradina.
- che ci fai fuori? e se ti vedono?
- e se vedono te, con quelle tette di fuori? guarda come sei uscita scollata…stai bene con quella maglietta.
- uh? davvero? grazie. anche tu stai bene…uhm…alla finestra. senza maglietta.
- era un complimento? la prossima volta che vuoi farne uno, lancia prima uno di quei razzi luminosi che stanno sulle barche, così capisco e ti ringrazio.
mi accorgo che i miei problemi di comunicazione, di solito sufficienti a complicare le mie interazioni quotidiane quel tanto che basta a nevrotizzarmi, con un’iguana aumentano esponenzialmente. con conseguente e logico incremento delle mie nevrosi.
tiro fuori dalle sacche della bici le borse della spesa e mi dirigo verso la porta: sembro un albero di natale carico di addobbi, un albero di natale ambulante.
- aiutarmi a portare le borse della spesa non è reato, sai?
- e se mi vedono?
- bavaffanculo và. aprimi almeno la porta.
entro e mollo tutto per terra, come al solito. stranamente non ricevo alcun rimprovero dall’iguano che invece di lanciarsi verso la cucina a riordinare il tutto, si riposiziona sulla poltrona rossa alla finestra. non capisco cosa stia facendo.
- mi sono persa qualcosa?
- la mamma di elise le sta raccontando una storia piena di pathos.
in effetti la stradina è tutta un declamare, tutto un lancio di suoni gutturali che crescono e si gonfiano e rimbalzano sui tetti e poi calano e strisciano tra le siepi e poi ancora su, come sulle montagne russe. è affascinante, sembra il teatro dei pupi. elise ride e ogni tanto lancia un “oh!” e un “ah!” emozionato.
- ma capisci? che cosa racconta?
- certo che capisco! mi hai preso per un iguano di paese? parlo 18 lingue, tra cui alcuni dialetti , italiani e messicani. comunque sta raccontando una favola di pesci.
- pesci di mare, pesci di fiume o pesci di lago? è importante.
- pesci degli abissi.
- me la racconti anche a me?
- sì, ma se prendi le ciliegie.
- va bene.
mi tolgo i pantaloni e rimango in mutande, scalza. lavo le ciliegie e le porto alla finestra.
- stai bene anche senza pantaloni, mi dice ivano sorridendo, quasi senza guardarmi.
- cretino. toh, ecco le ciliegie. fai a gara a chi riesce a metterne di più in bocca in una volta sola?
- ti straccio.
- guarda che sono fortissima, eh. sta’ a vedere.
mi infilo le pallette di frutta rossa una a una in bocca. sette. sono fiera di me: sono davvero grosse. ivano mi guarda, alza un sopracciglio (perfettamente depilato), prende la ciotola in cui ho messo le ciliegie e se la svuota in bocca. tutta in un colpo. la mandibola mi casca.
- in certi momenti capisco il piacere che provava il grillo parlante con pinocchio, sgrufola lui soddisfatto con la bocca ancora piena.
- sticazzi. meno male che ne ho comprati due pacchetti. vado a lavare le altre. tu ascolta la storia che poi mi devi raccontare.
torno in cucina. oggi è la prima volta dopo tanto tempo che provo di nuovo voglia di fare qualcosa, qualcosa che mi piace. ingozzarmi di ciliegie mi piace. lavarle tenendo le mani nell’acqua gelata mi piace. anche farmele mangiare da un’iguana ,sotto sotto, mi piace.
sono le dieci di sera e c’è ancora luce. sono di respiro sereno e poco mosso, respiro di ondine sinuose di sabbia che si fanno come tante piccole esse continue sotto il mare.
mi accuccio sul divano corto vicino ad ivano. inizio a deformarmi la bocca di ciliegie, infilandone tre alla volta.
ivano sorride e comincia a raccontare.
aspettavo che dicessi qualcosa delle tue ciliege e non fare come ivano che poi mi fai preoccupare... solo tu potevi farmi rimanere incollata a leggere di te e ivano..ti vedo muovere in casa tua e riesco anche vedere Ivano... che se poi torno e non lo trovo ci rimango anche male...
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